Eracle o Ercole

{mosimage}Nome greco dell'eroe leggendario che rivive, in gran parte, nel mio
italico e romano di Ercole, figlio di Giove e di Alcmèna , nato a Tebe.
L'ira implacabile di Giunone l'avrebbe perseguitato, secondo la
leggenda, prima ancora della sua nascita.

Non volendo che il figlio
della sua rivale godesse delle alte fortune che il Fato gli prediceva,
Giunone fece si che, nel parto gemello di Alcmena, avesse la precedenza
su di Ercole, concepito da Giove, Euristèo concepito da Anfitrione
marito di Alcmena: e, in forza della primogenitura, Euristèo potesse
imporre al minore fratello uterino le famose dodici fatiche, dalle
quali Giunone sperava non potesse, alla lunga, uscire incolume.

{mosimage}Le
imprese leggendarie di questo, che fu il più grande eroe greco,
cominciarono da quando, bambino ancora in fasce, strozzò i due
mostruosi serpenti mandati da Giunone per soffocarlo. Giunone. però
senza saperlo. ma solo per un malizioso capriccio di Minerva. avrebbe,
un giorno, allattato il bimbo, che l'avrebbe morsa al capezzolo,
lasciando così cadere delle gocce di latte, dalle quali sarebbe nata la
Via lattea. Cresciuto in età, Ercole imparò da Radamànto il maneggio
dell'arco, nel quale, poi, doveva divenire insuperabile; da Castore
l'arte di combattere a mano armata, e dal centauro Chirone la medicina
e la chirurgia.

Quando la fama della forza e della destrezza di Ercole
cominciò a correre il mondo, il fratello Euristeo, temendo di essere da
lui spodestato e cedendo alle vive insistenze dell'implacabile Giunone.
gl'impose a nome di Giove di compiere le famose dodici fatiche,
vietandogli persino di rientrare a Micene, e prescrivendo anzi, che
egli deponesse fuori delle mura della città le spoglie dei nemici
vinti, e non a mezzo di araldi. Ed Ercole dovette obbedire al volere di
Giove. Il suo primo cimento fu la lotta col leone di Nemèa, mostro nato
da Tifone e da Echidna' e che non poteva essere ucciso con le armi,
avendo la pelle invulnerabile.

Per aver ragione di lui' l'eroe lo
costrinse a rifugiarsi nella tana, dopo d'averlo inutilmente colpito
con le frecce e stordito con i formidabili colpi della sua clava; e ivi
lo soffocò' nella stretta delle sue braccia di acciaio. Poi.
scuoiatolo' della pelle si fece una veste e della testa un elmo. La
seconda fatica consistette nell'uccisione dell'Idra di Lèrna, dalle
sette o nove teste, una delle quali immortale, mentre le altre
rinascevano appena recise.

Il corpo di lei era, per metà, quello di una
bella ninfa, e, per metà, quello di un serpente. Ercole l'affrontò; e
dopo d'aver bruciato le sei otto teste mortali, per impedire che si
riproducessero, spappolò con un masso enorme la testa immortale, e
tinse, nel sangue che ne sgorgò a torrenti, le frecce del suo turcasso.
che avrebbero prodotto, così, ferite mortali o incurabili. {mosimage}Il terribile
Cinghiale d'Erimanto, che devastava l'Elide e l'Arcadia, offerse ad
Ercole la terza prova della sua forza. Inseguita la fiera sino sulla
cima del monte Erimanto, egli l'afferrò per le quattro zampe e la portò
viva dinanzi ad Euristeo che, al solo vederla, volle morire di
spavento, e corse a nascondersi in una botte.

La cerva di Cerinèa, che
aveva i piedi di rame e le corna d'oro, era sacra a Diana e staggirava
per le balze del monte Cerine a con tanta agilità e leggerezza nella
corsa, che nessuno aveva mai potuto raggiungerla. Ercole l'insegui
tutto un anno e finalmente gli riuscì d'abbracciarla mentre stava per
sfuggirgli lanciandosi a nuoto nel fiume Ladòne: e questa fu la quarta
fatica. La quinta fu costituita dallo sterminio degli Uccelli
Stinfàlidi, che avevano artigli, becco ed ali di bronzo e penne dello
stesso metallo, di cui essi si servivano lanciandole, come di frecce: e
la sesta dalla conquista del Cinto d'Ippolita, regina delle Amazzoni,
alla quale era stato donato dal dio Marte: e la figlia d'Euristeo
voleva il cinto perse. er ottenerlo, Ercole fu costretto ad affrontare
le bellicose Amazzoni e ucciderne la regina, cui tolse il cinto
desiderato. Secondo una variante, non l'uccise ma la diede in sposa a
Teseo.

La settimana fatica prende il nome dalle Stalle di Augia che
Augìa, re degli Epei, affidò ad Ercole da ripulire dello stabbio e del
letame che vi si era, da trenta anni, accumulato, promettendogli in
compenso la decima parte delle bestie che vi erano ammassate. L'impresa
pareva impossibile: ma Ercole riuscì a compierla, deviando nelle stalle
il corso del fiume Aifeo, che riuscì a spazzar via, con la violenza
della sua corrente, tutto l'enorme sudiciume Alla resa dei conti, però,
Augìa si rifiutò di mantenere la promessa fatta ad Ercole che,
infuriato della slealtà di lui, l'uccise insieme coi figli.

La cattura
del Toro di Creta è ricordata come l'ottava fatica di Ercole Nettuno,
per punire Minosse re di Creta di aver trascurato un sacrificio già
promessogli, aveva mandato nell'isola un toro ferocissimo, che l'eroe
catturò vivo e condusse a Micene. Diomède – da non confondere con
l'eroe greco compagno assiduo di Ulisse – re dei Bistoni, crudele e
sanguinario, aveva l'abitudine di nutrire certe sue feroci cavalle con
la carne degli stranieri che gli capitavano a tiro: ed Ercole compi la
sua nona fatica uccidendo Diomede, che, poi, fece divorare dalle stesse
cavalle. Però Euristeo, quando esse gli furono condotte innanzi,
preferì lasciarle in libertà.

La conquista de I buoi di Geriòne diedero
occasione alla decima fatica, e non certo la più leggera, dell'eroe
instancabile. Era Gerione un mostruoso gigante figlio di Crisàore e di
Calliroe, il quale aveva tre corpi e possedeva un ricco armento
custodito da un drago dalle sette teste, e da un cane bicipite; ed
Ercole per impadronirsi dell'armento dovette prima affrontare e
uccidere Gerione e i suoi dipendenti. Ritornando dell'impresa con i
buoi conquistati, nel passare per l'Italia, si fermò presso Pallante,
figlio di Evàndro, e fu derubato di quattro coppie delle sue più belle
giovenche dal gigante Caco (l'etimologia greca della parola vuoi dire
cattivo, malvagio).Ma Ercole lo sorprese nel suo speco e, dopo una
violenta lotta, lo strozzò, ricuperando le giovenche rubate, e
compiendo, così, la sua decima fatica.

{mosimage}L'undicesima gli fu offerta
dalla conquista dei pomi aurei delle Eperidi custoditi dal drago Ladòne
e da Atlante .Per venirne in possesso, Ercole incaricò Atlante di
andargliene a cogliere e, intanto, si offerse di reggere per lui, sulle
spalle, il peso del cielo. Atlante non avrebbe più Voluto liberarlo, ma
Ercole, con un'astuzia, riuscì a cavarsela, e allora si accinse a
compiere la dodicesima ed ultima fatica, scendendo all'Inferno donde
trasse incatenato il triplice cane Cerbero che Euristeo, però, gli
impose di riportare all'Inferno. Queste, in breve riassunto, le famose
fatiche d'Ercole, alle quali, però, vanno aggiunte altre numerose e
svariate imprese attribuitegli dalla leggenda.

Tra esse, vanno
ricordate: la lotta contro i Centauri. Salvò Esiòne, figlia di
Laomedonte, uccidendo il drago al quale era stata esposta nuda, sul
lido del mare, per essere divorata. Nella lotta col gigante Antèo
figlio della Terra e che riprendeva nuova forza ogni volta che poteva
toccarla coi piedi, sollevatolo di peso tra le braccia, lo soffocò: e
caduto, in seguito, in mano del crudele re Busiride, in Egitto, mentre
stava per essere da lui sacrificato a Giove, spezzate le catene che lo
immobilizzavano, uccise il suo persecutore e i figli di lui, consumando
poi allegramente il pasto ch'era stato loro imbandito.

Quando scese
all'Inferno per trarne Cerbero vi trovò Teseo e Piritòo che vi erano
stati incatenati in punizione d'aver tentato di rapire Proserpina.
Liberò il primo, ma fu impedito di sciogliere il secondo da un
terremoto che lo atterrì Per aver ucciso, in un trasporto di collera
alla quale era molto soggetto, il proprio amico Ifito, venne a contesa
con lo stesso dio Apollo; e ci volle un fulmine di Giove per dividere i
due contendenti: dopo di che, Ercole fu condannato, per quella sua
empia temerità, a servire per tre anni, in veste di schiavo e in abiti
muliebri, Onfale regina della Lidia, filando la lana.

Riacquistata
finalmente la libertà, mosse guerra a Laomedònte, re di Troia, e
l'uccise coi figliuoli, ad eccezione di Podàrce – che, poi, si chiamò
Priamo e fu padre di Ettore. – Tornato in Grecia, mosse guerra a Nelèo
re di Pilo, lo uccise e ne sterminò la progenie, solo risparmiando il
figlio minore Nestore che. nell'Iliade d'Omero, è raffigurato come
l'uomo più giusto, saggio e facondo dei Greci combattenti sotto le mura
di Troia: quindi, attaccò i Lacedemoni, vinse Ippocòonte che aveva
usurpato il trono a Tindarèo, al quale lo restituì, e liberò Prometeo,
incatenato sul Caucaso, dopo di aver ucciso l'avvoltoio che gli
divorava il fegato eternamente rinascente.

L'ultima sua avventura, fu
la contesa col dio fluviale Achelòo, che gli contendeva la mano di
Deianira , figlia di Enèo re degli Etoli, e della quale si era
invaghito. Anche pei viaggi intrapresi in Italia e per l'avventura che
vi ebbe, il mito greco di Eracle si fuse presto con quello latino di
Ercole, soprattutto per l'uccisione di Caco che aveva infestato il
territorio vicino al monte Aventino, e pei contatti dell'eroe col re
Evandro. A raffigurare sinteticamente la gloriosa vita di Ercole non
mancò neanche i) raccontino morale, secondo il quale, prima di
accingersi alle imprese, l'eroe, allora giovinetto, mentre, un giorno,
in un luogo solitario, ristava pensoso e incerto sulla vita da seguire
– Ercole al bivio – avrebbe visto appressarglisi due donne, austere
nell'aspetto, una delle quali, la Voluttà, gli avrebbe offerto una vita
ricolma di gioie e di piaceri, mentre l'altra, la Virtù, una lunga
serie di aspri cimenti, coronati, però, dal bacio della gloria.

E
questa egli avrebbe scelta senza esitazione, come fece, più tardi,
l'eroe greco Achille. Nell'antica statuaria e nelle pitture, egli è
raffigurato seminudo, o avvolto nella pelle del leone Nembo, una mano
appoggiata alla clava, il capo coronato di foglie del pioppo bianco –
del quale si favoleggiava avesse coperta la testa quando discese
all'Inferno. – Si diceva, anzi, che la foglia di quest'albero. che
anticamente era bianca da tutte e due le parti, avrebbe, in seguito.
preso la tinta scura da quella parte che, non toccando la testa
dell'eroe sarebbe stata esposta al fumo di cui è sempre avvolto
l'inferno.

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Origini ancestrali del mito di Ercole

E' difficile definire un
preciso periodo o una fase storica in cui compare il nucleo del mito di
Eracle, anche se è realistico pensare che esso veicoli retaggi
antichissimi, che risalgono al Neolitico e passano poi per il mondo
minoico-miceneo: purtroppo, però, il nome dell'eroe non è attestato –
come avviene per quello di Zeus, Poseidone, Artemide e Atena – sulle
tavolette in "lineare B".
Gli studiosi sono comunque concordi
nell'affermare che, a partire dall'epoca minoico-micenea (seconda metà
del II millennio a.C.), circolavano oralmente dei racconti che avevano
per protagonista un giovane e valente guerriero-avventuriero, il quale
assumeva le vesti di eroe purificatore di un mondo ancora soggiogato ai
mostri e alle forze del Caos. Questo eroe acquisiva inoltre, mano a
mano, i connotati dell'eroe viaggiatore, che conquistava alla
conoscenza dell'uomo nuovi territori ed allargava, sia verso occidente
sia verso oriente, i confini delle terre fino ad allora conosciute: non
è certo difficile riconoscere in questo personaggio l'Herakles
dell'epoca classica.
Ben presto, con il progressivo ampliarsi delle
esperienze coloniali greche, il mito di Eracle cambia i propri
orizzonti: dal Peloponneso, che è stata la sua terra di origine e
rappresenta il primo palcoscenico delle sue avventure, si passa a poco
a poco ad altre regioni della Grecia, quindi in Sicilia ed in Magna
Grecia fino ad arrivare nel Sannio, a Roma ed in Gallia.

L'Ercole
italico deriva dunque dall'Herakles greco e rappresenta essenzialmente
la ricezione delle credenze greche da parte degli Italici. Il suo culto
giunse ai Sanniti da un lato per il tramite della Magna Grecia
(contatti lucani, Paestum e le zone del Salento), dall'altro attraverso
la mediazione del mondo e della cultura degli Etruschi, che conoscevano
e veneravano Eracle con il nome di Hercle.
In Sabinia e presso i
Latini venne riconosciuta a Ercole la funzione di protettore dei
commerci e le leggende del passaggio di Eracle attraverso l'Italia, e
delle sue imprese avventurose ivi compiute, favorirono questa
ricezione: sembra in particolare che la colonia greca di Cuma, che ebbe
una particolare importanza nelle famose imprese (si pensi alla lotta
con i Giganti o alle mandrie di Gerione), sia stata uno dei punti di
partenza per la diffusione del culto di Ercole nella penisola.
L'eroe
assunse in Italia alcune caratteristiche proprie, più o meno differenti
da quelle greche, che molte volte si possono spiegare con
l'assimilazione con antiche divinità ed immagini religiose italiche; in
particolare egli fu dotato di caratteristiche "ctonie", cioè legate
alle profondità terrestri, o apportanti
fertilità, e anche di alcuni
caratteri di divinità protettrice dei traffici, del commercio e del
guadagno, del combattere e vincere in guerra; successivamente ebbe
anche caratteristiche sepolcrali.
Il culto si diffuse attraverso i
contatti tra coloni greci, Etruschi e Sanniti intorno al VI secolo a.C.
in Campania ed è logico supporre che proprio nell'area di Cuma la
frequentazione di varie etnie facilitava gli scambi culturali e quindi
l'assimilazione di nuove credenze. Non dimentichiamo che attraverso
queste frequentazioni prese forma l'alfabeto osco e nacque la scrittura
nel Sannio. In seguito il culto si diffuse nelle aree sabelle e quindi
sabine, raggiungendo così i Latini e Roma. Come già era avvenuto in
Magna Grecia, il culto di Ercole fu spesso collegato con divinità
straniere o locali o le sostituì. Un esempio famoso è il culto di
Ercole a Gades (Cadice, in Spagna), dove appare collegato al dio
Melqart, venerato dai Fenici.

Herakles nasce in Beozia, ma le
origini sono peloponnesiache (la madre e il padre terrestre provenivano
da Tirinto in Argolide), da Alcmena e da Zeus, che per concupire la
giovane sposa assunse le sembianze del marito Anfitrione, assente per
una spedizione.
Fin dalla culla il bambino dà prova delle sue doti
incredibili, strozzando i serpenti mandati da Era, la moglie divina di
Zeus adirata, nella culla di Eracle e del fratellino terrestre Ificle
(lo stesso nome Herakles, in greco significa "famoso" o "glorioso per
Era").
Fu allevato dai migliori maestri in ogni disciplina eroica
(nella lotta, nel tiro con l'arco, nella scherma, nella guida del
carro): l'innata intemperanza gli fece uccidere il maestro di lira,
Lino, che lo aveva ripreso, per la qual cosa Anfitrione decise di
mandarlo a badare alle mandrie sulle montagne. Come pastore, l'eroe
assunse clava e arco e, ben presto, si distinse in imprese valorose: a
diciotto anni uccise un leone che annientava il bestiame del padre
terreno e del re Tespio, fondatore della città di Tespi in Beozia:
quest'ultimo, per gratitudine, avrebbe offerto all'eroe le sue
cinquanta figlie (secondo una tradizione i nati da questa unione
avrebbero colonizzato la Sardegna).
Tornando da Tespi, Ercole ebbe
modo di sconfiggere anche gli Orcomeni e di ricevere come premio da
Creonte, re di Tebe, la figlia Megara. Da questa l'eroe ebbe molti
figli e visse tranquillo finché Era non lo fece impazzire e, credendo
di vedere dei nemici, l'eroe uccise moglie e figli. Tornato in sé,
scelse l'esilio e, tormentato dai rimorsi, si recò a Delfi, dove la
sacerdotessa Pizia gli ordinò di recarsi a Tirinto e servire per dodici
anni il re Euristeo: solo esaudendo gli ordini di quest'ultimo Eracle
avrebbe espiato la sua colpa e ottenuto l'immortalità.
Nascono così
le celebri "dodici fatiche", il dodekathlos (dal greco dodeka,
"dodici", e athlos, "gara").
Durante lo svolgimento delle sue "fatiche"
l'eroe ebbe modo di cimentarsi in una serie di avventure occasionali
(note come parerga) e di azioni eroiche che compì di sua iniziativa
(praxeis). La vita dell'eroe ha una svolta con le
nozze con Deianira, figlia di Oineo: quest'ultima ricevette dal
centauro Nesso morente un pò del suo sangue misto a veleno delle frecce
di Eracle, con cui secondo il centauro la donna avrebbe potuto
riconquistare il marito se avesse smesso di amarla. Quando se ne
presentò l'occasione, l'ignara Deianira, gelosa di Jole, mandò al
marito una tunica intrisa del sangue del centauro, provocando così la
morte dell'eroe. Già dal VII secolo a.C., però, era nota la versione
del mito per cui la parte immortale dell'eroe era stata accolta
nell'Olimpo.

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