Fonti della cognizione di Dio sono: la natura, la Provvidenza, la Sacra Scrittura e la testimonianza interiore, ossia la coscienza della propria debolezza di fronte a Dio. Data l’immediatezza della rivelazione, tutti gli uomini sono sacerdoti e vi é un’unica, invisibile, chiesa che, storicamente, si concreta nelle singole comunità, modellate su quella organizzata a Ginevra da Calvino stesso. Tali comunità si identificano con lo Stato che é espressione della Chiesa e perciò esige dai sudditi un’obbedienza assoluta.
Per quanto riguarda la dottrina ecclesiastica essa si poneva nello spirito dell’estremismo ecclesiastico medioevale e, al pari della dottrina perseguita dai gesuiti, sosteneva il primato e l’indipendenza dell’autorità spirituale, unitamente però all’uso del potere secolare per imporre il suo giudizio sull’ortodossia e la disciplina morale. In pratica ciò corrispondeva ad attribuire alla Chiesa entrambe le "spade", cioè quella del potere spirituale e quella del potere temporale, affidando anche la direzione dell’autorità secolare al clero. Pertanto, il calvinismo diede al clero grande potere e influenza politica e sociale, pur scavalcando tutti gli altri movimenti protestanti nella sua opposizione al cerimonialismo.
Solo in un secondo tempo il movimento calvinista assunse le caratteristiche di un movimento d’opposizione all’autorità politica e ciò fu dovuto a particolari circostanze. Il calvinismo cominciò a diffondersi e ad affermarsi in Europa quando il movimento protestante, ormai diviso in varie formazioni, aveva perduto molto del suo vigore iniziale. Esso guadagnò rapidamente terreno nei confronti del luteranesimo che finì col ripiegarsi su se stesso, divenendo un fenomeno circoscritto agli Stati tedeschi e scandinavi dove si era affermato grazie ai sovrani locali. Inoltre, sottrasse notevole spazio alle numerose sette anabattiste che, su posizioni anarchicheggianti, affermavano una totale libertà profetica antigerarchica.
Lo sviluppo del calviniscmo e la tesi di Max Weber
Col diffondersi del calvinismo, la direzione del movimento protestante passò nelle mani di uomini che intendevano propagarlo dal basso, anziché dall’alto, ricorrendo all’appoggio dei sovrani locali, come aveva fatto il luteranesimo, riponendo la loro fiducia, anziché nei principi, nella saldezza delle organizzazioni ecclesiastiche. Si trattava inoltre di uomini intenzionati a ricorrere, se necessario, alle armi per affermare i propri principi.
La struttura organizzativa era semplicissima, poiché ciascuna chiesa aveva un’organizzazione sua propria, con un pastore e un consiglio di anziani. Irradiandosi da Ginevra, la dottrina calvinista seguì le linee di minor resistenza, penetrando soprattutto in quelle aree in cui i governi risultavano più deboli e maggiore era il frazionamento politico e amministrativo.
Esso ottenne i suoi maggiori successi nei Paesi Bassi, divenendo il portavoce della riscossa nazionale contro la dominazione spagnola; in Scozia, unendosi al movimento nazionale antifrancese; in Francia dove particolarmente rilevante era stata l’influenza diretta da Calvino, francese di nascita e di mentalità, e dove l’avanzata del calvinismo fu spettacolare e rivoluzionaria, inserendosi nella lotta tra la corona, che rappresentava il potere centralizzato e le varie fazioni aristocratiche, e facendo inoltre leva sul malcontento popolare.
La sua forza d’urto sollevò gravi preoccupazioni tra i principi tedeschi che avevano adottato il luteranesimo e non meno preoccupazioni sollevò nella regina d’Inghilterra, Elisabetta I, che intraprese una durissima lotta contro i Puritani. In Germania, la controversia tra luterani e calvinisti assunse toni di estrema asprezza, ma non portò alle conseguenze sanguinose che ebbe invece nei Paesi Bassi, in Scozia, in Boemia e in Francia dove le atrocità culminarono nel massacro della notte di San Bartolomeo. Il 24 Agosto 1572.
Il calvinismo si diffuse inoltre in Renania, Ungheria, Lituania, Polonia. e mise profonde radici in America (Massachussetts) in seguito all’emigrazione dei Puritani. Le Chiese calviniste furono il maggiore veicolo di opposizione al governo nel corso del XVII sec. Ciò avvenne però indipendentemente dall’intenzione di Calvino che, al pari di Lutero, credeva nell’obbedienza passiva ed era decisamente legalitario. Fu la situazione politica del momento a determinare la ferma opposizione dei calvinisti. soprattutto nei Paesi Bassi, in Francia e in Scozia, così che le affermazioni del suo fondatore sul dovere di obbedienza e sull’ingiustizia della resistenza, affermazioni che erano risuonate naturali a Ginevra dove i calvinisti detenevano il potere, vennero annullate e rovesciate dai seguaci di Calvino, e sostituite da una dottrina che affermava il diritto alla disobbedienza.
Di questa dottrina si fecero assertori soprattutto lo scozzese John Knox e gli scrittori ugonotti francesi che, pur affermando la verità assoluta della dottrina cristiana nella versione calvinista, rifiutavano la dottrina di Calvino sull’obbedienza passiva e affermavano il diritto di opposizione al potere regio assoluto. A differenza dei calvinisti francesi e scozzesi, i presbiteriani inglesi, pur opponendosi alla Chiesa anglicana e alla supremazia del re, non ammettevano la ribellione, rimanendo in ciò più aderenti a Calvino di Knox, Beza e degli scrittori ugonotti.
Comunque, essi ebbero una parte di primo piano nella rivoluzione inglese del 1642-48, anticipando gli indipendentisti o congregazionisti che, tra i Puritani inglesi. furono quelli che ebbero maggiore peso politico e, benché calvinisti nella teologia, ne avevano semplificato molto la struttura ecclesiastica, convinti che un corpo di cristiani poteva formare una congregazione e che questa costituiva di per sé una Chiesa, senza bisogno dell’autorizzazione né dei magistrati civili né dei poteri ecclesiastici. In tal modo, la Chiesa diventava un’associazione volontaria di credenti e rinunciava all’appoggio delle autorità civili. Così che Chiesa e Stato si ponevano come due società ben distinte, indipendenti tra loro per principio.
Un’importante riflessione sulla funzione avuta dal calvinismo nella formazione della coscienza moderna e Max Weber (1881-1961), sociologo e storico tedesco. Nel suo libro "L’etica protestante e lo spirito del capitalismo", Weber sostiene che la nuova forma di capitalismo derivasse dall’etica calvinista, prendendo in esame cinque punti fondamentali:
l) Esiste un solo Dio che ha creato il mondo e che lo governa impossibile da conoscere dall’uomo, che e essere finito.
2) Dio ha già predestinato ognuno di noi alla beatitudine o alla dannazione senza che noi possiamo modificare quello che lui ha già stabilito della nostra vita.
3). Dio ha creato il mondo solo per la sua gloria.
4) L’uomo. se fosse destinato alla beatitudine, deve comunque lavorare per la gloria divina e per creare il regno di Dio in Terra.
5) I piaceri terreni, la natura stessa dell’uomo e la carne sono peccati che portano alla morte. La salvezza dell’uomo non può essere che un regalo, dono di Dio.
In questo modo Weber eliminava definitivamente la concezione dell’elemento mistico, affermando infine che non vi è corrispondenza tra Dio essere infinito, e l’uomo essere finito. L’etica calvinista era collegata alla concezione antiritmica che portava la coscienza al riconoscimento di un ordine naturale che la scienza doveva esplorare. Riguardo la teoria della predestinazione, i calvinisti vedevano il segno della certezza della salvezza nel successo mondano nella propria professione.
Quindi essi ritenevano che la vita terrena condotta positivamente fosse una prova del dono divino dell’elezione. Attraverso il lavoro l’uomo può ingannare l’angoscia di sapere se eletto oppure no.
E’ qui che può essere individuato lo spirito capitalistico: lavorare in modo razionale in funzione del proprio profitto e non spenderlo, ma rinvestirlo continuamente.
Le 95 tesi
2. E ciò non può intendersi come penitenza sacramentale (cioè come confessione e soddisfazione, che viene compiuta mediante il ministero dei sacerdoti).
3. E tuttavia non ha in vista la sola penitenza interiore, perché anzi non vi è penitenza interiore se questa non produce esternamente le diverse mortificazioni della carne.
4. Quindi questa pena perdura finché continua I’odio di se stesso (la vera penitenza interiore), vale a dire fino all’entrata nel regno dei cieli.
5. Il papa non vuole né può rimettere alcuna pena, eccetto quelle che ha imposto o per suo volere o per volontà dei cànoni.
10. Agiscono male e con ignoranza quei sacerdoti che comminano ai moribondi penitenze canoniche per il purgatorio.
11. Tali zizzanie del mutare una pena canonica in una pena del purgatorio appaiono certo seminate mentre i vescovi dormivano.
20. Dunque il papa con la remissione plenaria di tutte le pene non intende realmente di tutte, ma solo di quelle imposte da lui.
21. Errano dunque quei predicatori di indulgenze, i quali dicono che I’uomo può essere liberato e salvato da ogni pena mediante le indulgenze del papa.
22. [Il papa anzi] non rimette alle anime in purgatorio nessuna pena che avrebbero dovuto subire in questa vita secondo i cànoni.
24. Perciò deve accadere che la più parte del popolo sia ingannata da quella promessa di liberazione dalla pena indiscriminata e appariscente.
27. Predicano come uomini quelli che dicono che appena il soldino gettato nella cassa risuona, un’anima se ne vola via [dal purigatorio] .
28. Certo è che col tintinnio della moneta neila cassa si possono auInentare il guadagno e I’avidità; ma il suffragio della Chiesa dipende solo da Dio.
32. Saranno dannati in eterno con i loro maestri coloro che si credono sicuri della propria salvezza per mezzo delle lettere di indulgenza.
33. Predicano una dottrina non cristiana coloro che insegnano che non è necessaria la contrizione per quelli che comprano le indulgenze per i defunti o le lettere confessionali.
36. Qualsiasi cristiano veramente pentito ottiene la remissione plenaria della pena e della colpa che gli spetta, anche senza lettere di indulgenza.
37. Qualunque vero cristiano, vivo o defunto, ha la partecipazione, datagli da Dio, a tutti i beni del Cristo e della Chiesa, anche senza lettere di indulgenza.
40. La vera contrizione cerca e ama le pene; la prodigalità delle indulgenze invece produce un rilassamento e fa odiare le pene, o almeno ne offre I’occasione.
43. Bisogna insegnare ai cristiani che è meglio dare a un povero o fare un prestito a un bisognoso che non acquistare indulgenze.
44. Poiché la carità cresce con le opere di carità e I’uomo diventa migliore, mentre con le indulgenze questi non diventa migliore, ma solo più libero dalla pena.
45, Bisogna insegnare ai cristiani che chi vede un bisognoso e lo trascura per comprarsi indulgenze, si merita non I’indulgenza del papa ma I’indignazione di Dio.
46. Bisogna insegnare ai cristiani che, eccettuato il caso in cui abbondano di beni superflui, debbono risparmiare il necessario per la loro casa e non sprecarlo mai per le indulgenze.
50. Bisogna insegnare ai cristiani che se il papa conoscesse le estorsioni dei predicatori di indulgenze, preferirebbe che la basilica di San Pietro finisse in cenere, piuttosto che vederla edificata con la pelle, la carne e le ossa delle sue pecorelle.
51. Bisogna insegnare ai cristiani che il papa, come deve, vorrebbe dare del proprio denaro (anche a costo di vendere – se fosse necessario – la basilica di San Pietro) a quei molti ai quali alcuni predicatori di indulgenze carpiscono denaro.
52. È vana la fiducia nella salvezza mediante le lettere di indulgenze, anche se un commissario, e perfino lo stesso papa impegnasse per esse la propria anima.
53. Nemici del Cristo e del papa sono coloro i quali, perché si possano predicare le indulgenze, ordinano che la parola di Dio sia fatta del tutto tacere nelle altre chiese.
54. Si offende la parola di Dio quando in una stessa predica si dedica un tempo uguale o maggiore all’indulgenza che ad essa.
62. Vero tesoro della Chiesa è il sacrosanto Vangelo della gloria e della grazia di Dio.
63. Ma questo tesoro è a ragione odiatissimo perché dei primi fa gli ultimi.
64. Il tesoro delle indulgenze invece è giustamente il più accetto, perché fa degli ultimi i primi.
65. Dunque i tesori evangelici sono reti con le quali una volta venivano pescati uomini ricchi.
66. Ora i tesori delle indulgenze sono reti con le quali si pescano le ricchezze degli uomini.
75. Ritenere che le indulgenze papali siano tanto potenti da poter assolvere un uomo anche se questi -per impossibile – avesse violato la madre di Dio, è pura follia.
76. Al contrario affermiamo che i perdoni papali non possono
79. Dire che la croce delle insegne papali, eretta solennemente, equivalga alla croce di Cristo, è bestemmia.
80. Dovranno renderne conto vescovi, curati e teologi che permettono che simili discorsi siano tenuti al popolo.
81. Questa scandalosa predicazione delle indulgenze è tale che non rende facile neppure a uomini dotti di difendere il rispetto dovuto al papa dalle infami calunnie o, se volete, dalle sottili obiezioni dei laici.
82. Vale a dire: perché il papa non vuota il purgatorio a causa della santissima carità e della grande sofferenza delle anime, che è la ragione più giusta di tutte, quando libera un numero senza fine di anime a causa del funestissimo denaro per la costruzione della basilica, che è un motivo futilissimo?
83. Parimenti: perché devono continuare le esequie e gli anniversari dei defunti e non restituisce, o permette siano ritirati i benefici istituiti per loro, dal momento che è un’offesa pregare per dei redenti?
84. Parimenti: qual è questa nuova pietà di Dio e del papa, per cui concedono per denaro ad un empio nemico di liberare un’anima pia ed amica di Dio, mentre non la liberano con gratuita carità per la sofferenza in cui quest’anima pia e diletta si è venuta a trovare?
85. Parimenti: perché canoni penitenziali di per sé e per il disuso già da tempo morti e abrogati, tuttavia a causa della concessione delle indulgenze sono riscattati ancora con il denaro come se fossero ancora in pieno vigore?
86. Parimenti: perché il papa, le cui ricchezze oggi sono più crasse di quelle dei più ricchi Crassi, non costruisce almeno la basilica di San Pietro con il suo denaro, invece che con quello dei poveri fedeli?
87. Parimenti: che cosa rimette o partecipa il papa a coloro che, a causa di una perfetta contrizione, hanno diritto alla piena remissione o partecipazione?
88. Parimenti: quale maggior bene si arrecherebbe alla Chiesa se il papa, invece di concedere ad ognuno dei fedeli queste remissioni e partecipazioni una sola volta, le concedesse cento volte ogni giorno?
90. Soffocare queste sottilissime argomentazioni dei laici con la sola forza e senza addurre ragioni, significa esporre la Chiesa e il papa alle beffe dei nemici e rendere infelici i cristiani.
91. Se dunque le indulgenze fossero predicate secondo lo spirito e I’intenzione del papa, tutte quelle difficoltà sarebbero facilmente risolte, anzi non esisterebbero.
94. Bisogna esortare i cristiani perché si sforzino di seguire il loro capo Cristo attraverso le pene, le morti e gli inferni.
95. E confidino così di entrare nel cielo più attraverso molte tribolazioni che non nella sicurezza di [una falsa] pace.
LA FEDE
Con la legge soltanto
Ecco dunque l’esempio d’una vita santa e giusta e un’immagine perfettissima della giustizia, così che se qualcuno nella sua vita compie la legge di Dio, non gli mancherà nulla per essere perfetto al cospetto del Signore. E per attestare questo egli promette a quelli che avranno adempiuta la sua legge non solo le grandi benedizioni della vita presente (menzionate in Levitico XXVI [3-131 e Deuteronomio XXVII [l 141), ma anche la ricompensa della vita eterna (Levitico XVIII [51). D’altro lato Egli minaccia di morte eterna quelli che non avranno compiute le opere ch’essa comanda. Anche Mosè, pubblicando la legge, prese a testimoni il cielo e la terra, ch’egli aveva proposto al popolo il bene e il male, la vita e la morte.
Ma sebbene essa ci mostri la via della vita, dobbiamo pure vedere in che ci giova con questa dimostrazione. Certo che se la nostra volontà fosse formata e disposta per l’obbedienza alla volontà divina, la sola conoscenza della legge basterebbe pienamente per la salvezza. Ma poiché la nostra natura carnale e corrotta contrasta alla legge spirituale di Dio e non è affatto emendata dall’insegnamento di questa, avviene che la legge stessa, che sarebbe stata per la salvezza se avesse trovato degli uditori buoni e atti a compierla, diventa invece occasione di peccato e di morte. Infatti più essa ci rivela la giustizia di Dio, tanto più siamo convinti d’averla trasgredita e ci appare manifesta la nostra iniquità. E di nuovo, come ci sorprende nella più grande trasgressione, così ci rende degni del più severo giudizio di Dio e tolta la promessa della vita etema ci resta la sola maledizione, che coglie noi tutti per mezzo della legge.
La legge come pedagogo per condurci a Cristo
Ora la testimonianza della legge non ci convince d’iniquità e di trasgressione per piombarci nella disperazione e farci cadere in rovina togliendoci ogni coraggio. Certo l’apostolo (Romani 111 [19-201) testimonia che noi tutti siamo dannati secondo il giudizio della legge, affinché ogni bocca sia turata e tutto il mondo sia trovato colpevole davanti a Dio. Ma egli stesso insegna altrove (Romani XI [32]) che Dio ha rìnchíuso tutti nell’incredulità, non già per perderli o lasciarli perire, ma per far misericordia a tutti.
Il Signore adunque, dopo averci ricordato per mezzo della legge la nostra debolezza ed impurìtà, ci consola suscitando in noi la fiducia nella sua potenza e nella sua misericordia. Ed è in Gesù Cristo suo figliuolo, ch’egli si mostra a noi benevolo e propizio. Infatti nella legge egli appare solo come rimuneratore della giustizia perfetta, della quale noi sìamo del tutto sprovvisti e d’altro lato come giudice integro e severo deì peccati. Ma in Cristo il suo volto rifulge pieno di grazia e di benignità verso i peccatori miseri ed indegni; perch’egli ha dato quest’esempio ammirevole del suo amore infínito, che ha offerto per nOi il suo proprio figliuolo e ci ha aperto in lui tutti i tesori della sua clemenza e della sua bontà.
Noi riceviamo Cristo per mezzo della fede
Come il Padre misericordioso ci offre il Figliuolo per mezzo della parola del Vangelo, così noi per mezzo della fede l’accogliamo e lo riconosciamo come donato a noi. È vero che la parola del Vangelo invita tutti a essere partecipi di Cristo, ma molti accecati e induriti dall’incredulità disprezzano q . uesta grazia tanto singolare. Perciò di Cristo gioiscono solo i credenti che lo ricevono essendo inviato a loro, non lo respingono essendo loro donato, e lo seguono essendo chiamati da lui.
Elezione e predestinazione
In questa diversità d’atteggiamenti si deve considerare necessariamente il grande segreto del consiglio di Dio; perché il seme della parola di Dio mette radice e fruttifica solo in quelli che il Signore, mediante la sua elezione eterna, ha predestinati a essere suoi figliuoli ed eredi del Regno dei cieli.
Per tutti gli altri, che per il medesimo consiglio di Dio avanti la fondazione del mondo sono stati riprovati, la chiara ed evidente predicazione della verità non può essere altro che odore di morte a morte. Ora perché il Signore usa misericordia verso gli uni ed esercita il rigore del suo giudizio verso gli altri? Dobbiamo lasciare che la ragione di ciò sia conosciuta da lui soltanto, che non senza motivi plausibilissimi ha voluto tenerla celata a noi tutti. Infatti la rozzezza del nostro spirìto non potrebbe sopportare una così grande chiarezza, né la nostra piccolezza comprendere una così grande sapienza. Poiché tutti quelli che tenteranno di elevarsi sin lassù e non vorranno tenere in freno la temerarietà del loro spirito, sperimenteranno la verità del detto di Salomone (Proverbi XXV [271), che colui che vorrà investigare la maestà sarà oppresso dalla gloria. Ma solo teniamo per fermo in noi questo, che la dìspensazione del Signore, per quanto a noi nascosta, è pur nondimeno santa e giusta; perché s’egli volesse perdere tutto il genere umano, avrebbe diritto di farlo, e in coloro che ritrae dalla perdizione non si può contemplare altro che la sua bontà sovrana. Dunque riconosciamo che gli eletti sono vasi della sua misericordia (come anche lo sono veramente) ed i riprovati vasi della sua ira, che ad ogni modo non è che giusta.
Riconosciamo dagli uni e dagli altri motivo d’esaltare la sua gloria. E d’altro lato non cerchiamo (come fanno molti), per confermare la certezza della nostra salvezza, di penetrare fin dentro il cielo e d’investigare quel che. Dio dall’eternità ha deciso di fare di noi (tale pensiero non può che renderci inquieti turbandoci con una miserevole angoscia); ma accontentiamoci della testimonianza, con cui egli ci ha sufficientemente ed ampiamente confermata questa certezza. Infatti, come in Cristo sono eletti quanti sono stati preordinati allà vita prima della fondazione del mondo, così anche abbiamo in lui la caparra della nostra elezione se lo riceviamo e accettiamo per fede. Perché, che cosa cerchiamo noi nell’elezione se non d’essere partecipi della vita eterna? E noi l’abbiamo in Cristo, ch’è stato la vita sin dal princìpio e ci è offerto per la vita, affinché quanti credono in lui non periscano, ma abbiano la vita eterna. Se dunque possedendo Cristo per fede abbiamo parimenti la vita in lui, non abbiamo più bisogno d’investigare oltre l’eterno consiglio di Dio; perché Cristo non è solo uno specchio nel quale ci sia riflessa la volontà di Dio, ma è una caparra per cui la vita ci è come confermata e suggellata.
La vera fede
Non bisogna credere che la fede cristiana sia una nuda e pura conoscenza di Dio o una comprensione della Scrittura che sfiori il cervello senza toccare il cuore, come suole essere una nostra opinione intorno a cose che sono confermate da qualche buona ragione. Ma essa è una fiducia ferma e sicura del cuore, per inezzo della quale ci appoggiano con certezza alla misericordia di Dio promessaci nel Vangelo’. Infàtti la definizione della fede dev’essere presa dalla sostanza della promessa, perché essa fede s’appoggia talmente su questo fondamento che, se fosse tolto, di subito rovinerebbe o meglio svanirebbe. Perciò se quando il Signore nella promessa del Vangelo ci presenta la sua misericordia, noi con sicurezza e senza esitazione ci confidiamo in Lui che promette, diciamo che riceviamo la sua parola per fede. E questa definizione non è affatto diversa da quella dell’apostolo (Ebrei XI [11), in cui insegna che la fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di cose che non si vedono, perché egli intende un possesso certo e sicuro di ciò ch’è promesso da Dio e una certezza di cose che non si vedono, cioè della vita eterna, di cui noi concepiamo la speranza per la fiducia nella bontà divina, che ci è data dal Vangelo. Ora, siccome tutte le promesse di Dio sono in Cristo confermate e per così dire mantenute e compiute, è senza dubbio certo che Cristo è l’oggetto eterno della fede, nel quale essa contempla tutte le ricchezze della misericordia divina.
La fede è un dono di Dio
Se consideriamo rettamente in noi stessi quanto il nostro pensiero sia cieco per i segreti celesti di Dio e quanto il nostro cuore sia diffidente in ogni cosa, non possiamo dubitare che la fede supera e non di poco ogni virtù della nostra natura e ch’essa è un singolare e prezioso dono di Dio. Poiché, come dice S. Paolo (1 Corinti Il [I I]), se nessuno conosce le cose dell’uomo se non lo spirito dell’uomo ch’è in lui, come potrebbe l’uomo essere sicuro della volontà divina? E se la verità di Dio in noi vacilla perfino nelle cose che l’occhio vede, come potrebbe essere ferma e stabile dove il Signore promette le cose che l’occhio non vede e l’intelletto dell’uomo non comprende?
Dunque non v’è dubbio che la fede è un riflesso dello Spirito Santo, per mezzo del quale i nostri pensieri sono rischiarati e i nostri cuori confermati in una persuasione certa che la verità di Dio è tanto sicura ch’egli non può non effettuare ciò che la sua parola santa ha promesso che farà. Perciò (Il Corinti I [2 2] ed Efesini I [I 31) lo Spirito Santo è chiamato una caparra che assicura nei nostri cuori la certezza della verità divina e un sigillo col quale i nostri cuori sono suggenati nell’attesa del giorno del Signore. Infatti è lui che testimonia al nostro spirito che Dio è nostro Padre e che noi sìamo suoi figliuoli (Romani Vlll [I 61).
Noi siamo giustificati per la fede in Cristo
Poiché è chiaro che Cristo è l’oggetto eterno della fede, noi non possiamo conoscere ciò che riceviamo mediante la fede, se non riguardando a lui. Ora, è bensì vero che egli ci è stato dato dal Padre, affinché otteniamo in lui la vita eterna, siccome è detto (Giov. XVII [31) che la vita eterna è conoscere Dio, il Padre e colui ch’egli ha mandato, Gesù Cristo; e di nuovo (Giov. XI [261): "Chi crede in me non morrà mai, e quand’anche muoia vivrà". Tuttavia, affinché ciò avvenga, bisogna che noi, contaminati dal peccato, siamo nettati in lui, perché nulla d’impuro entrerà nel Regno di Dio. Egli ci fa dunque così partecipi di sé, affinché noi peccatori, per la sua giustizia, siamo reputati giusti dinanzi al trono di Dio. Ed essendo così spogliati della nostra propria giustizia, siamo rivestiti della giustizia di Cristo, e ingiusti per le opere nostre siamo giustificati mediante la fede in Cristo.
Infatti noi diciamo che siamo giustificati per fede, non nel senso che riceviamo in noi qualche giustizia ma nel senso che la giustizia di Cristo ci viene attribuita, proprio come se fosse nostra, mentre non ci viene imputata la nostra iniquità. Talché in una parola si può ben chiamare questa giustizia la remissìone dei peccati. Il che l’apostolo afferma più volte in modo evidente, quando confronta la giustizia delle opere con la giustizia che viene dalla fede e insegna che l’una viene annullata dall’altra (Romani X [31; Filippesi 111 [91). Ora noi vedremo nel credo in che modo Cristo ci ha acquistato questa giustizia e su che cosa essa sia fondata. Infatti nel credo tutto ciò su cui la nostra fede è basata, è esposto con ordine.
Santificati dalla fede per obbedire alla legge
Come per mezzo della sua giustizia Cristo intercede per noi presso il Padre, affinché, essendo egli come nostro mallevadore, siamo reputatì giusti, così, rendendoci partecipi del suo Spirito, ci santifica in ogni purezza e innocenza. Poiché lo Spirito del Signore riposa su lui senza misura, lo spirito di sapìenza, d’intelligenza, di consiglio, di forza, di scienza e di timore del Signore, affinché noi tutti attingiamo dalla sua pienezz.a e riceviamo grazia per la grazia che gli è stata data.
Dunque s’ingannano quelli che si gloriano della fede in Cristo, essendo del tutto estranei alla santificazione per mezzo del suo Spirito; poiché la Scrittura c’insegna che Cristo ci è stato fatto non solo giustìzìa, ma anche santificazione. Perciò noi non possiamo ricevere la sua giustizia per fede, senza afferrare ad un tempo quella santificazione, perché il Signore, nel medesimo patto che ha stretto con tutti in Cristo, promette d’essere clemente verso le nostre iniquità e di scrivere la sua legge nei nostri cuori (Geremia XXXI [33]; Ebrei VIII [101 e X [161).
L’osservanza della legge non è dunque un’opera che possa essere compiuta dalle nostre forze, ma un’opera di una potenza spirituale, che fa sì che i nostri cuori siano nettati della loro corruzione e resi obbedienti aria giustizia 4. Ora l’uso della legge è per i cristiani ben diverso di quel che può esserlo senza la fede. Poiché il Signore ha scolpito nei nostri cuori l’amore per la sua giustizia, la dottrina esteriore della legge (che prima soltanto ci accusava di debolezza e di trasgressione) è ora una lampada al nostro piede, affìnché non deviamo dal retto cammino, la nostra sapienza dalla quale siamo formati, istruiti e incoraggiati all’integrità, e la nostra disciplina che non ci permette d’essere dissoluti per cattiva sfrenatezza’.
Ravvedimento e rigenerazione
Da ciò è facile intendere perché il ravvedimento sia sempre congiunto alla fede in Cristo e perché il Signore affermi (Giovanni 111 [31) che nessuno può entrare nel Regno dei cieli se non sia stato rigenerato. Infatti ravvedimento significa conversione, mediante la quale ritorniamo sulla via del Signore, dopo avere lasciata la perversità di questo mondo. Ora siccome Cristo non è ministro di peccato, dopo averci purificati dal peccato non ci riveste della sua giustizia affinché poi profaniamo una grazia sì grande con nuove cadute, ma affinché, essendo stati adottati come figliuoli di Dio, co nel futuro la nostra vita alla gloria del nostro Padre.
L’effetto di questo ravvedimento dipende dalla nostra rigenerazione che consiste di due parti: della mortificazione del nostra carne, cioè della corruzione ch’è stata generata noi, e della vìvificazione spirituale mediante la quale la n tura dell’uomo è restaurata e reintegrata. Dobbiamo dunq meditare tutta la vita che, essendo morti al peccato e a n stessi, viviamo a Cristo e alla sua giustizia. E visto che questa rigenerazione non è mai compiuta finché siamo nella prigione di questo corpo mortale, bisogna che la cura del ravvedimento sia continua fino alla morte.
Accordo tra la gìustizia delle opere buone e la giustizia della fede
Non v’è dubbio che le opere buone, compiute con una tal purezza di coscienza, sono gradite a Dio, poich’eglì non può che approvare e apprezzare la sua giustizia quando la ricono sce in noi. Tuttavia dobbiamo stare ben in guardia di non la sciarci guidare da una tale vana fiducia in queste opere buone, da dimenticare che siamo giustificati per la sola fede in Cristo; poiché, dinanzi a Dio, non vale nessuna giustizia d’opere, se non quella che corrisponde alla sua giustizia. Perciò, non basta che colui che cerca d’essere giustificato mediante le opere compia certe opere buone, ma è necessario che obbedisco in modo perfetto alla legge, dalla quale perfetta obbedienza certo sono ancora molto lontani anche quelli che più di tutti gli altri hanno progredito nella legge del Signore.
Di più, se pure la giustizia di Dio volesse accontentarsi d’una sola opera buona, il Signore non troverebbe tuttavia neppure un’opera buona nei suoi santi, che per quanto rneritoria egli potesse lodare come giusta. Poiché, per quanto ciò possa sembrare strano, pure è verissimo che noi non compiamo opera alcuna che sia assolutamente perfetta e che non sia oscurata da alcuna macchia.
E poiché siamo tutti peccatori, e vi sono in noi parecchi residui di peccato, dobbiam venir giustificatì da qualche cosa fuori di noi, cioè abbiam sempre bisogno di Cristo, affinché dalla sua perfezione veng ricoperta la nostra imperfezione, dalla sua purezza venga I vata la nostra impurità, dalla sua obbedienza sia cancellata I nostra iniquità; e infine affinché dalla sua giustizia ci venga imputata giustizia gratuitamente, cioè senza considerazione alcuna delle nostre opere, che non sono di tal valore che pos sano reggere al giudizio di Dio. Ma quando le nostre macchie, che nel cospetto di Dio potrebbero contaminare le nostre opere, vengono in tal modo coperte, il Signore non vede più in esse se non una completa purezza e santità. Perciò onora con grandi titoli e lodi, e le chiama e le reputa giuste promette loro una buona remunerazione. Insomma, dobbiamo affermare che la compagnia di Cristo ha un tal valore che per essa noi non solo veniamo reputati giusti gratuitamente, ma le stesse opere nostre vengono considerate giuste ricompensate con una retribuzione eterna."