La “vittoria mutilata”

Fra i paesi vincitori della Grande Guerra,
l'Italia fu l'unica ad
entrare in un periodo di profonda crisi dopo la fine del conflitto.
Nonostante la classe dirigente avesse resistito a quattro anni di
guerra, le spese belliche e le perdite umane erano state le cause di un
generale malcontento, la riconversione industriale da industria bellica
a civile stentò e le masse popolari si agitavano fortemente.

I due grandi partiti di massa, quello socialista e quello cattolico,
si erano schierati contro l'ala liberale dello stato che aveva promesso
in mala fede la riforma agraria e che aveva voluto prendere parte al
conflitto spinta anche da valori risorgimentale. Vari settori della
società vennero così strappati dal nuovo partito cattolico (il PPI) e dal PSI che inneggiava alla rivoluzione contro la precedente tradizione politica.

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Il malcontento popolare derivato dai sacrifici della guerra era
alimentato anche dai quei reduci che con lo stipendio di soldato erano
vissuti in buone condizioni durante il conflitto e che, tornati nelle
industrie o nei campi, avevano trovato una cruda realtà. I prezzi in
salita verticale e i tassi di scambio sempre pi sfavorevoli tra la lira e le altre monete aumentavano la sfiducia delle classi meno abbienti nei confronti del governo.

Del resto fonte di ulteriore fastidio era il fatto che alcune classi
borghesi arricchitesi durante il conflitto venissero ora appoggiate
dallo Stato o per lo meno non controllate seriamente da efficienti
leggi che ponessero un freno al dilagare della corruzione. Colpite
quindi dal malcontento erano non solo il mondo rurale e quello
industriale, ma anche coloro che, reduci e stanchi della guerra,
speravano in una maggiore libertà e in un cambiamento in meglio delle
loro condizioni di vita dopo la vittoria.

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Ad aggravare ulteriormente la situazione contribuirono le decisioni prese dalla Pace di Versailles. Il presidente americano Woodrow Wilson, infatti, non intendeva accettare il Patto di Londra che assicurava all'Italia Trentino Alto Adige, Friuli, Dalmazia
e altri territori, promesse che gli interventisti democratici speravano
veder mantenute. Anzi osarono aggiungere alle richieste la città di
Fiume di popolazione in maggioranza italiana, accentuando ancor di più
la convinzione di Wilson nel suo rifiuto (Gli USA erano
infatti entrati in guerra a condizione che venissero considerati i
"Quattordici Punti" con i quali si voleva evitare una spartizione non
equa dei paesi sconfitti).

{mosimage}I delegati italiani, fermi nelle loro decisioni e incapaci di proporre
delle valide alternative, disertarono la conferenza di pace aggravando
ulteriormente le precarie trattative. Infatti le colonie tedesche
furono spartite solo tra Francia e Inghilterra e la questione di Fiume
diventò ancora più problematiche. Tali condizioni di pace si rivelarono
del tutto sfavorevoli e contrarie alle speranze della popolazione e
della classe dirigente: i tanti grandi sforzi così inappagati
porteranno a definire quella dell'Italia una "vittoria mutilata".

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