Situato nei dintorni di Berchtesgaden, precisamente nella zona di Obersalzberg, il Berghof fu la villa prediletta di Hitler, il luogo ove questi amava trascorrere i propri momenti di svago e di piacere; ristrutturato dietro precise indicazioni dello stesso Hitler, che non recise mai il suo legame con il mondo dell’arte e al quale si sentiva sempre profondamente legato, il Berghof, proprio per questo motivo, occupò sempre un posto speciale nel cuore del leader nazista; fu in questo meraviglioso luogo, immerso nella alpi bavaresi, che Hitler condivise la suo intimità con le sue donne, a partire dalla nipote Geli Raubal, fino ad arrivare ad Eva Braun, la quale filmò personalmente, con la sua telecamera, diversi momenti di normale vita quotidiana dell’uomo più potente della terra; fu proprio in questo chalet che si tennero delicati vertici politici, destinati a sconvolgere la vita dell’Europa, riunioni militari o più semplicemente raduni mondani e feste, coinvolgenti le personalità più importanti del III reich.
Il motivo di tanta passione era d’altronde facilmente intuibile in quanto il Berghof era realmente situato in una posizione invidiabile dalla quale, dall’enorme terrazzo o dalla finestra-vetrata posta all’estremità del salone interno, si poteva godere un panorama mozzafiato; proprio il grande salone era arredato lussuosamente con arazzi e quadri di valore; Hitler era inoltre in possesso di una testa bronzea di Wagner,scolpita dallo scultore Breker e di numerosi dischi del grande autore, riposti su mobili monumentali, ove facevano bella mostra vasi d’argento massiccio e servizi in porcellana di Dresda; nella parte più bassa del salone, cui si accedeva scendendo tre gradini, si poteva invece ammirare un camino bavarese in maiolica, mentre 5 grandi poltrone erano poste intorno ad un tavolo di cristallo; senza dimenticare i numerosi libri di astrologia, che il fuhrer leggeva ed interrogava, confermando gli oscuri legami del nazional-socialismo, con il tenebroso mondo dell’occulto.
Le stanze del fuhrer e di Eva Braun, divise da un lussuoso bagno, erano notevolmente più grandi e spaziose delle 14 riservate agli ospiti, situate nell’ultimo piano della villa e in cui campeggiava, onnipresente, il ritratto del leader nazista; tutti coloro che avevano l’onore di essere ricevuti al Berghof dovevano inoltre attenersi a rigide norme comportamentali, elencate su un foglio appositamente consegnato.
Proprio l’Obersalzberg sembrava candidato, con il grande reich ormai prossimo alla distruzione, ad ospitare Hitler ed il suo stato maggiore, per una resistenza estrema, ma questo progetto rimase senza seguito per il desiderio del fuhrer di rimanere a Berlino e lì morire.
Il Berghof venne poi bombardato il 25 aprile 1945 da trecento bombardieri inglesi e definitivamente spianato nel 1956; si voleva in questo modo impedire che quel posto da sogno, potesse in futuro divenire meta di nostalgici pellegrinaggi; scomparve in questa maniera il luogo più caro ad Hitler, il suo angolo di paradiso, posto nella magica cornice delle alpi bavaresi, la cui calma, la cui quiete non fu comunque in grado di impedire l’ emanazione di ordini destinati a tramutare in un incubo la vita di decine di migliaia di persone e a dare avvio ad una tragica spirale di morte e violenza.
Si può pertanto affermare che quella graziosa e piccola villetta, sperduta tra i monti, ebbe il carattere di assurgere, in numerosi occasioni, a vero e proprio centro del mondo, a luogo che vide sfilare in successione i più importanti e controversi personaggi del secolo appena trascorso, ad anima nera del fuhrer della grande Germania, che trovò linfa vitale, per i suoi macabri e perversi desideri, proprio in quel posto fatato.
La Kehlsteinhaus
Fu il famoso "nido dell’aquila", la residenza alpina più bella ma nel contempo meno amata da Hitler. La Kehlsteinhaus era un rifugio che sovrastava il Berghof e il villaggio di Obersalzberg, posto a 1.834 metri di altezza, alle sommità del monte Kehlstein; fu regalata al fuhrer, in occasione del suo cinquantesimo compleanno, da Martin Borman, che ne curò la costruzione tra il 1936 e il 1938.
Per Bormann la costruzione della nuova residenza alpina rappresentava l’ennesima occasione per mettersi in mostra agli occhi di Hitler e, come sempre, si prodigò per colpire e sorprendere il suo fuhrer, avvalendosi dell’organizzazione Todt e di centinaia di operai, sfruttati senza scrupoli e senza alcun riguardo.
Ciononostante, l’oscuro segretario, non prese in considerazione la morbosa attenzione di Hitler per le opere architettoniche e commise l’errore di non coinvolgerlo nell’elaborazione dei piani di costruzione; il risultato fu che Hitler snobbò palesemente la nuova residenza, visitata pertanto raramente, preferendo mantenersi legato all’amatissimo Berghof, cui la Kehlsteinhaus era collegata attraverso un’elaborata serie di camminamenti; essi ci sono descritti, insieme alla maestosità del rifugio, dall’ambasciatore francese François Poncet, il quale fu colui che denominò la Kehlsteinhaus come "nido dell’aquila", nome con cui quel luogo sarebbe poi entrato nella storia:
"La strada terminava all’ingresso di un tunnel che portava all’interno della montagna. L’ingresso era chiuso da due massicce porte di bronzo. Al termine del tunnel, da una sala rotonda, entrai in un ascensore spazioso e rivestito di lucidi pannelli di ottone. Arrivai in un edificio tozzo e massiccio dove c’era un portico con colonne romane ed accanto una sala con un’enorme vetrata semicircolare. Giganteschi tronchi di legno bruciavano nel grande camino e c’era un tavolo circolare con una trentina di sedie. La vista panoramica delle montagne assomigliava a quella visibile da un aereo. Lì in fondo giaceva Salisburgo che assomigliava ad un anfiteatro. Villaggi a perdita d’occhio corollavano l’orizzonte fra monti e boschi. La casa di Hitler mi dava l’impressione di essere un edificio costruito fra le nuvole".
Per giungere, da valle, al "nido dell’aquila", era necessario attraversare un tunnel di 124 metri, da cui si giungeva dinanzi all’ascensore, decorato con specchi, ottoni e sedili in pelle verde, che, dopo 139 metri di vertiginosa salita all’interno della montagna, portava direttamente all’interno del rifugio.
Nonostante il disinteresse di Hitler, la Kehlsteinhaus era realmente un luogo incantato, in grado di lasciare a bocca aperta qualunque visitatore; essa fu dunque un mero luogo di rappresentanza, sfruttato solamente in occasioni speciali, per suggestionare, con la sua maestosità, gli ospiti ed i diplomatici invitati a Berchtesgaden. Per la costruzione del "nido dell’aquila" Bormann non lesinò alcuna spesa ed il lusso che caratterizzava quel luogo balzava immediatamente agli occhi, richiamando l’attenzione di qualunque visitatore: nel grande atrio ottagonale faceva bella mostra il camino di marmo verde regalato da Mussolini, mentre le ampie vetrate e le balconate lasciavano intravedere un paesaggio che si apriva su Salisburgo e Monaco. A differenza del Berghof, il "nido dell’aquila" di Hitler, è stato risparmiato dalla distruzione ed ancora oggi può essere visitato, in tutta la sua maestosità, come macabro lascito dell’ oscuro mondo della svastica. |
Il "nido dell’aquila": l’ascensore |
Il quartier generale di Rastenburg
Era un luogo tetro, grigio e spettrale situato nel cuore della foresta di Goerlitz (ora Gierloz), presso Rastenburg (l’attuale Ketrzyn), nella Prussia orientale. La cosiddetta "tana del lupo" fu costruita in vista dell’attacco all’Unione Sovietica e la scelta cadde su quel posto non solo per la sua vicinanza con il confine sovietico, ma anche per la sua natura aspra e difficilmente accessibile, circondata com’era da laghi e paludi ed immersa nella già citata foresta di Gierloz;
Il quartier generale di Rastenburg, caratterizzato in superficie da piccoli edifici di legno, era in realtà un coacervo di bunker, gallerie, campi minati e postazioni anti-aeree, inghiottito dalla fitta vegetazione dei luoghi e costantemente in penombra; era inoltre presente un piccolo aeroporto e una piccola stazione ferroviaria, per permettere collegamenti con la madrepatria e, in particolare, con Berlino, con cui Hitler era continuamente in contatto tramite una diretta linea telefonica.
Il fuhrer si trasferì in pianta stabile a Rastenburg, fin dall’attacco all’Unione Sovietica e vi rimase pressochè ininterrottamente fino al 20 novembre 1944, quando dovette forzatamente far ritorno a Berlino, a causa dell’inesorabile avanzata dell’armata rossa; per tutto questo tempo Hitler trascorse le sue giornate tra una riunione militare e l’altra, dalla mattina fino a notte inoltrata.
Le notizie provenienti dai vari fronti di guerra armonizzarono la sua depressione ed il suo malessere con lo squallore che lo circondava; lontano dagli sfarzi e dagli svaghi della capitale, ove il fuhrer, dopo essersi svegliato in tarda mattinata, dedicava ore e ore alla nullafacenza più assoluta, trascurando il lavoro, Rastenburg era un luogo, non solo seppellito in una foresta acquitrinosa, dall’aria insalubre, ma anche profondamente indesiderato dai vertici nazisti per il carattere spartano dei suoi alloggi ed arredi, compresi quelli del fuhrer, nei quali si evidenziavano solamente un ritratto di Federico il grande, alcune foto di Eva Braun ed una di Greta Garbo; nelle sue passeggiate, insieme al fedele cane Blondi, che lo vedevano sparire nella nebbia e nella folta vegetazione, era come se venisse rapito dall’atmosfera mistica di quel posto, evocante oscure forze del male.
Fu proprio a Rastenburg e precisamente nella sala riunioni, la Lagebaracke, che il leader nazista sfuggì miracolosamente, il 20 luglio 1944, all’attentato organizzato ed eseguito dal colonnello Claus Stauffenberg. Dopo essere stata abbandonata dal fuhrer, la "tana del lupo" sopravvisse fino al 24 gennaio del 1945, giorno della sua distruzione ad opera della wehrmacht, per impedire che l’armata rossa, vicina al tempo della partenza di Hitler ed ora a pochi passi da Rastenburg, potesse prenderne il controllo ed entrarvi indisturbata.
Ma per Hitler il calvario non era affatto terminato: il grigiore del suo ex quartier generale avrebbe infatti lasciato il posto all’ancor più deprimente bunker della cancelleria, ove quello che era ormai solo l’ex signore incontrastato della Germania e dell’Europa, trascorse, seppellito come un morto vivente, le ultime drammatiche fasi della sua vita.
Il bunker della cancelleria
Situato a Berlino, 20 metri sottoterra, nel giardino della cancelleria, fu il luogo funereo ove Adolf Hitler decise di trascorrere gli ultimi istanti della sua esistenza. Il fuhrer diede ordine di costruire il bunker a partire dal 1943, quando gli alleati cominciarono a bombardare la capitale del grande reich, nonostante la propaganda avesse costantemente rassicurato il popolo tedesco circa l’invulnerabilità della Germania dai propri nemici; pronto alla fine del 1944, il fuhrer vi si trasferì all’inizio del 1945, dopo essere stato costretto a lasciare il quartier generale di Rastenburg, travolto dall’avanzata inarrestabile dei sovietici.
Il bunker della cancelleria era un luogo spettrale, umido e buio, dagli arredamenti semplici ed estremamente umili, nel quale si perdeva rapidamente il senso della realtà; fu pertanto la degna dimora per un fuhrer ormai distrutto, malato e ridotto a vero e proprio morto vivente; l’attentato di Rastenburg aveva avuto conseguenze devastanti per il suo fisico e l’atmosfera surreale del bunker, contribuì notevolmente a renderlo sempre più distaccato dal mondo reale.
Il bunker era diviso in due piani, collegati da una scala a chiocciola di 13 scalini; al piano superiore c’erano le cucine, gli appartamenti del personale, degli ospiti e del corpo di guardia delle SS, a quello inferiore, situato dunque nella parte più sicura e protetta, i 20 alloggi di Hitler e degli altri gerarchi, posti su un corridoio di 17 metri per 3; in particolare, in quelli del fuhrer, composti da 6 stanze, lo studio, fungente anche da soggiorno, arredato in maniera tutto sommato sobria e ove campeggiavano i ritratti dell’immancabile Federico II e della madre Klara, era collegato da un lato con la camera da letto, dall’altro con il bagno, che colpiva per la sua morbosa e maniacale pulizia: come riferito dall’ex giovane nazista pentito, Armin Lehmann, che nel bunker visse giovanissimo tra il 20 e il 30 aprile del 1945, mentre i bagni del piano interrato, versavano in condizioni fatiscenti, a causa della rottura delle fognature, da parte dei russi, quelli di Hitler erano perfetti ed impressionavano tanto erano puliti; il giovane Lehmann ebbe occasione di entrarvi una volta e rimase fortemente sconcertato dall’enorme quantità di quello che sembrava semplice sapone e che invece fu percepito per ciò che realmente era solo alla fine della guerra, quando venne a galla l’orrore dei campi di concentramento. Ma quei servizi igenici non erano accessibili a tutti, essendo riservati rigorosamente ad Hitler e a Eva Braun. Il sottosuolo della cancelleria rappresentava dunque un vero e proprio piccolo mondo a sé stante, scollegato da tutto il resto.
Mentre fuori c’era l’inferno, con l’armata rossa che martellava i ruderi di una Berlino pressoché distrutta, difesa da ragazzini, vecchi e da quello che rimaneva delle grandi armate del reich, nel bunker la vita scorreva come se nulla fosse, in attesa della fine.
Il bunker della cancelleria rappresentò l’ultima dimora del leader nazista, dell’uomo che voleva dominare il mondo e che si trovava invece sprofondato, come una sorta di cadavere vivente, ben 20 metri sottoterra, totalmente privo di legame con quanto avveniva all’esterno, ove i sovietici stavano facendo a pezzi quello che rimaneva del grande reich millenario.
Nei suo ultimi giorni Hitler conduceva una esistenza allucinante, alternando monologhi interminabili e sconclusionati, che si protraevano fino a tarda notte, a momenti di sconforto, riunioni militari, ove, consultando nervosamente mappe assolutamente inattendibili, faceva riferimento ad armate e divisioni ormai annientate, a crisi di nervi, per il presunto tradimento del popolo tedesco di fronte alla devastante avanzata sovietica. La sua divisa era costantemente unta e coperta da briciole di dolci che il fuhrer, in quelle frenetiche e convulse giornate, divorava voracemente, come colpito da una sorta di raptus, in continua successione.
In quel luogo tetro ed insalubre, illuminato da semplici lampadine, il 30 aprile del 1945, si consumò l’atto finale di quella sorta di delirio collettivo e di impero del male che fu il tenebroso mondo della svastica; alle 15,30 del pomeriggio, dopo essere scesi nei propri alloggi, Adolf Hitler ed Eva Braun, che aveva sposato la sera prima, si tolsero la vita; il giorno dopo il fedelissimo Joseph Goebbels, ministro della propaganda e della guerra totale, rimasto l’ultimo grande gerarca presente nel bunker, visti i tradimenti di Himmler e di Goring e considerata la fuga di Bormann, seguì il suo fuhrer nella morte insieme a sua moglie Magda, dopo aver follemente ucciso i suoi 6 figli con altrettante capsule di cianuro; il nazional-socialismo chiudeva dunque la sua epoca con l’ultima, insensata follia.
Il famigerato bunker della cancelleria venne murato, sul finire degli anni ottanta, per ordine dei dirigenti di una agonizzante Germania est, vicina alla dissoluzione, ma, nel 1995, durante i lavori di costruzione della nuova cancelleria, tornò macabramente alla luce come un oscuro spettro di un torbido passato.