Storia degli Stati Uniti d’ America (dalle origini alla guerra di secessione)

La formazione degli Stati Uniti, costituitisi in nazione indipendente alla fine del XVIII secolo, trae le sue origini dalle esplorazioni geografiche avviate alla fine del XV secolo con i viaggi di Cristoforo Colombo e di Giovanni Caboto.

 


Le origini

All’inizio del XVI secolo i primi gruppi di coloni europei, provenienti principalmente dalla Spagna, dalla Francia e dall’Inghilterra, si insediarono nei territori nordamericani dove vivevano gruppi di indigeni seminomadi (vedi Indiani d’America). Se si escludono le regioni dell’attuale Messico, divenute possedimento degli spagnoli, la colonizzazione europea rimase episodica fino alla fine del XVI secolo. Le guerre europee tra Spagna e Inghilterra ebbero riflessi internazionali nel momento in cui gli inglesi, spinti a contendere agli spagnoli la supremazia sui mari, per impulso di Walter Raleigh promossero la formazione di colonie stabili in Virginia. 

Le 12 colonie fondatrici USA

 

L’insediamento coloniale

 

All’inizio del XVII secolo la Compagnia della Virginia, nata da un’associazione di mercanti londinesi, dopo avere ottenuto dalla Corona i privilegi per lo sfruttamento della costa atlantica dell’America del Nord, stabilì alla foce del fiume James, nella baia di Chesapeake, il primo insediamento stabile, Jamestown. Pressoché contemporaneamente esploratori francesi procedettero alla ricognizione del territorio che includeva l’intera valle del fiume Mississippi, ponendo le premesse per il controllo della vasta area compresa tra la regione dei Grandi Laghi e il golfo del Messico, mentre coloni olandesi si stanziarono sulla costa, fondando nel 1624 la città di Nuova Amsterdam (l’attuale New York). Nel secondo decennio del XVII secolo la colonizzazione inglese venne favorita dall’emigrazione di persone appartenenti a sette religiose, perlopiù di orientamento puritano, le quali cercavano un luogo in cui potere liberamente esercitare il proprio culto e costruire una società a misura dei loro ideali. Il viaggio che nel 1620 i Padri Pellegrini, membri di una congregazione calvinista, effettuarono a bordo della Mayflower e la fondazione della colonia di Plymouth, nel New England, sarebbero divenuti eventi costitutivi dell’identità storica degli Stati Uniti. La forte impronta religiosa, la libera iniziativa di individui uniti da comuni valori etici, la forma democratica del governo della colonia, una notevole autonomia da Londra, che si concretizzava in forme di autogoverno, furono i tratti di fondo sui quali si costruì il modello coloniale nel territorio del New England.

 

Nel corso del XVIII secolo si definirono le peculiarità delle tre grandi aree nordamericane in cui erano inseriti gli stati coloniali inglesi, saliti al numero di tredici: quella meridionale (Virginia, Maryland, South e North Carolina, e Georgia), nella quale dominavano i latifondi agricoli riservati alla coltivazione di riso, tabacco e cotone; quella centrale (New York, New Jersey, Delaware e Pennsylvania), in cui cerealicoltura e commercio navale si integravano; quella settentrionale (Massachusetts, Connecticut, Rhode Island e New Hampshire), cuore della prima colonizzazione inglese, anch’essa a economia mista, agricola e manifatturiera, che aveva nel porto di Boston il suo centro propulsore.

 

Verso l’indipendenza

 

La supremazia economica dell’Inghilterra nei commerci mondiali fu sanzionata dall’espansione territoriale in America, conseguita con le vittorie militari a danno prima della Spagna, nella guerra di successione spagnola (1701-1714) e poi della Francia, nella guerra dei Sette anni (1756-1763), in seguito alla quale i britannici ottennero il Canada, la Florida, la Louisiana orientale.

Intanto i tredici stati americani acquisivano posizioni di forza nel rapporto con la madrepatria, perché le ragioni dello scambio commerciale volgevano a loro favore: crescevano le esportazioni di legname, grano, tabacco, cotone, e il numero delle navi fabbricate nei cantieri americani, mentre diminuiva l’importazione di merci dall’Inghilterra. La popolazione delle colonie era intanto salita da 250.000 abitanti nel 1700 a oltre due milioni nel 1770. Anche sul piano politico il rapporto tra colonie e madrepatria cambiò e quando il parlamento inglese nel 1764-65 impose il Sugar and Molasses Act (tassa sullo zucchero) e lo Stamp Act (tassa sugli atti d’ufficio) nacquero le prime forme di resistenza delle tredici colonie, che decisero per il boicottaggio delle merci inglesi.

A Boston, nel 1770, un contingente inglese sparò sulla folla che dimostrava contro nuove tasse, provocando alcuni morti (vedi Massacro di Boston): l’episodio suscitò forte emozione e contribuì ad aggravare la frattura tra il governo di Londra e i coloni americani.

 

La guerra d’indipendenza

 

Negli anni successivi le posizioni si radicalizzarono da entrambe le parti, mentre continuava la protesta contro la tassa sul tè. Nel dicembre 1773 i coloni, per protesta contro la concessione del monopolio della vendita del tè alla Compagnia delle Indie Orientali, affondarono tre navi cariche di tè all’ancora nel porto di Boston (Boston Tea Party). Seguirono ritorsioni da parte del governo di Londra a cui i rappresentanti dei tredici stati risposero rafforzando la loro alleanza e rivendicando l’autogoverno delle colonie nel primo Congresso continentale del 5 settembre 1774.

Guerra di Secessione USA

 

 

Poco tempo dopo, il conflitto politico si trasformò in scontro armato, intrapreso inizialmente dallo stato del Massachusetts e divenuto una scelta generale al secondo Congresso continentale (1775), quando i tredici stati votarono a favore del reclutamento di un esercito, che affidarono al comando di George Washington. Inoltre decisero l’emissione di una moneta americana e assunsero le prerogative di autorità di governo delle colonie. Superando le resistenze dei moderati e dei lealisti, contrari alla separazione dall’Inghilterra, i rappresentanti più radicali si batterono fino a ottenere l’approvazione della Dichiarazione d’indipendenza (4 luglio 1776), che rappresentò l’atto di nascita degli Stati Uniti.

 

Dalla parte degli insorti americani e dopo la loro vittoria a Saratoga Springs nel 1777, scesero in campo la Francia, l’Olanda e la Spagna: i loro aiuti militari (soprattutto dei francesi) e finanziari spostarono l’equilibrio del conflitto. Dopo cinque anni di operazioni, segnate da rari scontri in campo aperto, perlopiù conclusi a favore degli americani, e a seguito della sconfitta inglese a Yorktown (1781), furono intavolate trattative di pace che, con la mediazione della Francia, sfociarono nella firma del trattato di Parigi (1783) e nell’indipendenza delle colonie americane. Vedi anche Guerra d’indipendenza americana.

 

La Costituzione

 

Ottenuta l’indipendenza, occorreva definire quale forma di governo le ex colonie intendessero applicare. Ogni stato presentava proprie specifiche identità, non facilmente integrabili tra loro, e profonde erano le divergenze politiche: per questo motivo prevalse l’idea che ogni stato fosse libero di autodeterminarsi adottando una propria costituzione. Si configurò un ventaglio assai diversificato di opzioni generali, che andavano dal mantenimento di antiche carte redatte in epoca coloniale all’adozione di moderne costituzioni (come nel caso della Virginia) che sancivano i principi dell’eguaglianza, della libertà, della divisione dei poteri e rifiutavano la schiavitù. Fu scelto un sistema federale, che conciliava le tradizioni del particolarismo e della differenziazione religiosa, che caratterizzavano i singoli stati, con le ragioni dell’interesse comune, della difesa militare, dell’impulso allo sviluppo cementate dalla guerra di indipendenza.

Il testo della costituzione, redatto nel Congresso di Philadelphia del 1787, sanciva le idee dei federalisti: stabiliva infatti un rapporto di elezione diretta tra cittadini e governo centrale e di sovranità diretta del secondo sui primi nell’ambito di determinate competenze (finanze, politica estera, guerra), fatta salva la garanzia di ampie autonomie ai singoli stati. Gli organi principali del governo centrale furono fissati nel Congresso (costituito dalla Camera, eletta a suffragio universale maschile e con sistema proporzionale, e dal Senato, composto da due senatori per ogni stato), nel presidente, eletto ogni quattro anni con un sistema indiretto e dotato di forti poteri esecutivi, e nella Corte Suprema, garante dell’unione federale. 

Nelle prime elezioni, tenutesi il 4 febbraio 1789, fu eletto presidente George Washington. Lo slancio economico che segnò gli anni di formazione degli Stati Uniti fu favorito dalla colonizzazione di nuove terre a ovest, dove alla fine del Settecento sorsero i nuovi stati del Vermont, del Kentucky, del Tennessee, seguiti all’inizio dell’Ottocento da Ohio, Indiana, Michigan e Wisconsin. Iniziò allora l’avanzamento della frontiera verso il Pacifico, che consegnò agli americani uno spazio divenuto via via di dimensioni continentali, immenso serbatoio di terre e di risorse agricole e minerarie.

 

La presidenza Jefferson  

Il dibattito politico, inasprito dagli echi della Rivoluzione francese e dalle opposizioni alla sovranità del potere federale, vide emergere il partito repubblicano: a quest’ultimo apparteneva Thomas Jefferson, il quale, eletto presidente nel 1800 e riconfermato nell’incarico nel 1804, interpretò la volontà della grande massa dei piccoli proprietari terrieri (i farmers), spostando l’equilibrio federale a favore dell’autogoverno locale. L’atto più importante della sua presidenza fu l’acquisto della Louisiana, la cui annessione raddoppiò la superficie degli Stati Uniti e ne orientò lo sviluppo verso la colonizzazione.

Tra il 1806 e il 1809 Jefferson decretò una serie di misure che vietarono lo scambio commerciale con i paesi europei (Non-Importation Act, Embargo Act, Non-Intercourse Act), allo scopo di protestare contro le violazioni dei diritti commerciali dei paesi neutrali, compiute da Francia e Inghilterra nel corso delle guerre napoleoniche.

 

La guerra del 1812-1814

Durante la presidenza di James Madison, le tensioni crescenti con la Gran Bretagna nel 1812 portarono allo scoppio del conflitto anglo-americano, che si protrasse fino al 1814 con sorti alterne, ma senza risolutive operazioni militari: agli americani non riuscì il tentativo di sollevare il Canada, rimasto leale alla Corona, mentre gli inglesi riuscirono a conquistare Washington, venendo poi bloccati a Baltimora. Nel trattato di Gand, che pose fine al conflitto, i due paesi si impegnarono a restituirsi i territori conquistati e a definire in successivi colloqui la linea meridionale del confine canadese. Da quell’esperienza uscì rafforzato il sentimento nazionale degli americani, ormai persuasi che il loro futuro dovesse svincolarsi del tutto dalle vicende europee.

 

Sviluppo economico e territoriale

Nella prima metà del XIX secolo il territorio federale si accrebbe con l’ingresso nell’Unione degli stati della Louisiana (1812), dell’Indiana (1816), dell’Illinois (1818), dell’Alabama (1819) e della Florida (1819). Nel 1936 entrò a far parte dell’Unione il Texas, staccatosi dal Messico; nel 1846 il territorio del Nord-Ovest, che gli Stati Uniti ottennero in seguito a un trattato con la Gran Bretagna, e del vasto Sud-Ovest, ottenuto con la guerra contro il Messico.

A metà Ottocento il confine occidentale era giunto al Pacifico e si contavano più di trenta stati aderenti all’Unione. Un’economia fiorente e in rapido sviluppo agevolò il precoce avvio dell’industrializzazione, che mise radici negli stati atlantici, in particolare in quelli del Nord-Est, dove sorsero fabbriche moderne, all’avanguardia nello sviluppo tecnologico. Gli americani furono tra i primi a produrre, utilizzando la tecnologia del vapore e degli altiforni, i battelli a propulsione meccanica e le locomotive. Si lanciarono quindi nella corsa alla costruzione di strade ferrate in modo così intenso che la rete ferroviaria americana nel 1860 risultava la più estesa al mondo. Il nuovo mezzo di trasporto accompagnò e sostenne lo sviluppo economico, fornendo l’intelaiatura infrastrutturale senza la quale non sarebbe stato possibile organizzare uno spazio di quelle dimensioni. La rapidità di tale sviluppo risultò più accentuata nel settore industriale, nel quale a metà secolo gli Stati Uniti si collocavano al quarto posto nella graduatoria mondiale. 

Altrettanto eccezionale fu la crescita demografica: la popolazione balzò dai 9,5 milioni di abitanti del 1820 agli oltre 31 milioni del 1860, con un tasso di incremento che non aveva eguali nella storia. Significativa fu la quota dello sviluppo demografico derivante dall’immigrazione: un flusso migratorio, a crescita quasi esponenziale, mosse dall’Europa, principalmente dall’Irlanda, dalla Germania e dalla Scandinavia. Numerosi giunsero anche gli africani, deportati in schiavitù per essere sfruttati come forza lavoro nelle piantagioni di cotone e di tabacco degli stati meridionali. Gli immigrati bianchi in parte si stabilirono negli originari tredici stati, in parte si diressero verso ovest, là dove un territorio vergine e sconfinato offriva un incessante richiamo allo spirito d’avventura di coloni e di pionieri. La scoperta dell’oro in California nel 1849 spinse migliaia di persone a dirigersi all’Ovest e a popolare le coste del Pacifico. Fu questo il contesto in cui nacque l’epopea del "Far West" (il "lontano Ovest"), un’epopea dapprima di carattere contadino, ma ben presto personificata da allevatori di bestiame, artigiani, commercianti, banchieri, costruttori di ferrovie, giunti in massa al richiamo delle grandi potenzialità affaristiche offerte dall’Ovest. A farne le spese furono le popolazioni indigene, che vennero letteralmente sterminate.

  

Isolazionismo e democrazia

Dopo la guerra del 1812-1814 contro i britannici, si radicarono nella politica americana le tendenze isolazioniste, favorite proprio dalla Gran Bretagna, convinta che l’America, al riparo da qualsiasi ingerenza europea, si sarebbe adattata a una posizione di dipendenza economica. Alla presidenza di James Monroe si fa risalire la proclamazione ufficiale della linea isolazionista, compendiata nella celebre formula "L’America agli americani" (vedi Dottrina Monroe). Sotto la presidenza di Andrew Jackson (1829-1837), esponente di punta del partito democratico, si posero le basi della democrazia americana, imperniata sulla diffusa partecipazione popolare, sull’allargamento del suffragio (con l’esclusione dei neri) e sul carattere elettivo di molte cariche istituzionali. Si stabilizzò contemporaneamente il bipolarismo partitico: da una parte il partito democratico, con forte insediamento sociale al Sud, espressione dello spirito libertario e individualista degli uomini della frontiera, con venature radicali che lo collocavano a sinistra; dall’altra il partito Whig, apparso nel 1834, espressione degli interessi industriali e finanziari del Nord.

 

Il problema della schiavitù

Già alla fine del XVIII secolo le differenze economiche e politiche apparivano polarizzate dal contrasto tra gli stati del Nord e quelli del Sud, un contrasto che per diverso tempo si concentrò sulle tariffe doganali: gli stati meridionali erano favorevoli al libero commercio perché le materie prime da loro prodotte, come il cotone e il tabacco, non avevano rivali sul mercato internazionale. La libertà commerciale costituiva la condizione per la prosperità dell’economia agricola delle grandi piantagioni del Sud. Gli stati industriali del Nord, al contrario, propugnavano misure protezionistiche per tutelare le loro merci dalla concorrenza dei manufatti inglesi. Proprio in merito a questioni commerciali fu lanciata la prima minaccia di secessione quando, nel 1828, il South Carolina si dichiarò pronto a staccarsi dall’Unione se fosse stata approvata una tariffa doganale considerata contraria agli interessi dei suoi coltivatori.

La causa fondamentale del contrasto risiedeva tuttavia nella schiavitù. La linea di separazione tra stati schiavisti e stati antischiavisti, definita dal Compromesso del Missouri (1820), correva tra il Missouri, il Delaware, il Maryland e il West Virginia: a settentrione la schiavitù era proibita, a sud legalizzata. La questione riguardava circa 4.000.000 di africani, oltre il 12% della popolazione. Il contrasto si acuì in seguito all’ingresso nell’Unione dei nuovi stati del Texas, dell’Oregon e della California, che metteva in discussione il Compromesso del Missouri, e quindi alla legge sul Kansas e sul Nebraska (vedi Kansas-Nebraska Act), che stabiliva il principio in base al quale ogni stato era libero di decidere sullo schiavismo, indipendentemente dalla propria collocazione geografica. A contrastare le tradizioni e gli interessi del fronte schiavista si formò negli anni Trenta un movimento abolizionista, presto trasformatosi in forza politica a carattere partitico, che prese nome di Free Soil Party, partito del "libero suolo", favorevole al contenimento della schiavitù negli antichi confini. Da questo nucleo si costituì il Partito repubblicano, nel quale emerse una corrente decisamente abolizionista.

  

Guerra di secessione  

La questione della schiavitù divenne dirompente dopo la metà dell’Ottocento, quando il nuovo Partito repubblicano diede rappresentanza politica alle forze antischiaviste, che includevano sia borghesi e operai degli stati del Nord, mossi da ragioni umanitarie e dal convincimento della superiorità del libero mercato del lavoro, sia contadini e coloni di quasi tutti gli stati entrati da poco nell’Unione.

Il contrasto tra il Nord abolizionista e il Sud schiavista sfociò nella guerra civile, dopo l’elezione a presidente degli Stati Uniti (novembre 1860) di Abraham Lincoln, capo del Partito repubblicano, favorevole a una graduale abolizione della schiavitù. Nel dicembre del 1860 undici stati del Sud si staccarono dall’Unione, costituendosi negli Stati Confederati d’America (febbraio 1861), una confederazione indipendente sotto la presidenza di Jefferson Davis e con una propria capitale, Richmond, in Virginia. Il Nord rispose con la mobilitazione di un esercito, a cui si contrapposero le forze sudiste guidate dal generale Robert Lee. Nell’aprile vi fu il primo scontro armato della guerra civile che si sarebbe combattuta per quattro anni con grande dispiegamento di uomini e di armi. La mobilitazione di un grande numero di soldati (quasi cinque milioni tra i due eserciti) e il ricorso alla nuova tecnologia militare – per la prima volta furono utilizzati il fucile a ripetizione, le mine, la mitragliatrice, le corazzate, i siluri, che fecero di questa guerra la prima dell’era industriale – causò un elevatissimo numero di vittime (circa 700.000) e gravissimi danni alle città coinvolte nel conflitto.

La superiorità economica e demografica del Nord pesò sull’esito del conflitto, che si concluse il 9 aprile 1865 con la capitolazione dei sudisti. Il 14 aprile Lincoln venne assassinato durante una rappresentazione teatrale da un fanatico sudista. Il 6 dicembre fu decretata l’abolizione della schiavitù in tutti gli stati dell’Unione con il 13° emendamento della costituzione. Due successivi emendamenti, il 14° (1868) e il 15° (1870), garantirono ai neri pieni diritti civili e politici. Vedi anche Guerra di secessione americana.

 

La ricostruzione

Con la vittoria dei federali il paese poté essere pienamente unificato. Contrariamente alla linea politica di Lincoln, che avrebbe voluto attuare un piano di riconciliazione nazionale, il Congresso impose al successore, Andrew Johnson, un progetto definito di "ricostruzione" che in realtà instaurò negli stati del Sud un regime di occupazione militare. La piaga della disoccupazione colpì oltre 3 milioni e mezzo di neri liberati, mentre la produzione cotoniera calò vistosamente. In un clima tutt’altro che pacificato i settori oltranzisti si organizzarono in gruppi clandestini, tra cui il Ku Klux Klan, che cominciarono a praticare forme di terrorismo e atti di violenza contro la popolazione nera.

Le forze capitalistiche trassero grande vantaggio dalla ricostruzione postbellica, che favorì il pieno sviluppo dell’economia industriale e l’espansione dei capitali dell’Est a tutto il territorio americano. In mezzo secolo gli Stati Uniti passarono al primo posto nella graduatoria mondiale della produzione industriale. Assunsero una posizione dominante le concentrazioni industriali e finanziarie (corporations), nonché i grandi imperi economici (trusts) collegati alle dinastie di capitalisti, come i Rockefeller, i Carnegie, i Morgan, gli Harriman.

Le ferrovie, organizzando il più grande mercato nazionale del mondo, servirono a commercializzare la produzione agricola dell’Ovest e a portare nelle campagne gli interessi e la mentalità dei capitalisti dell’Est. Decisiva risultò la costruzione, in soli sette anni, della prima linea transcontinentale americana che, partendo da Omaha nel Missouri, raggiungeva San Francisco, sul Pacifico. Grazie al treno le grandi pianure dell’Ovest si trasformarono da terra di allevatori in terra di contadini stabili, perché le potenzialità di crescita dell’agricoltura vennero incrementate dalla possibilità di fare arrivare in tempo breve le derrate alimentari dai luoghi di produzione a quelli di consumo.

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