Quando il cognato Paride rapì la bella Elena e, con le favolose ricchezze di lei, la condusse a Troia, Enea biasimò severamente la violazione dell’ospitalità compiuta da Paride; prevedendo la guerra che, certamente, i greci avrebbero mosso alla sua patria.
Enea non cessò mai di consigliare che Elena e la sua dote fossero restituite a Menelao.
Come sappiamo dalle crnocahe omeriche non fu ascoltato: e benché fosse coraggioso e prode, quando la guerra prevista scoppiò, non vi prese direttamente parte.
Solo quando Achille lo assalì coi suoi Mirmidoni sul monte Ida, dove egli seguitava a risiedere Enea divenne attivo nel conflitto bellico. Respinto Achille, partecipò valorosamente alla guerra, dove seppe tener testa ora a Diomede ed, ora, ad Achille, giovandosi anche della protezione e dell’aiuto della madre Venere e di Apollo protettore di Ilio.
Nell’incendio di Troia sostenne animosamente, nelle vie, molti combattimenti con i greci: ma quando Venere gli mostrò che, fra i più accaniti distruttori della città vi era lo stesso Apollo ch’era stato uno di quelli che l’avevano edificata, decise di abbandonare la città e di porsi in salvo col padre, la moglie, il figlio e con gli dei Penati di Troia.
Sulle prime, Anchise si oppose alla fuga, preferendo la morte nella sua città, ma un prodigio vinse la sua riluttanza. Mentre Enea seguitava ad implorarlo perché si salvasse, tenendo per mano il figlioletto Iulo, scese dal cielo una fiamma che avvolse, senza bruciarli i capelli del fanciullo.
Il felice auspicio indusse Anchise a seguire nella fuga Enea il quale, caricato sulle poderose spalle il padre, s’avviò, col suo seguito, verso il porto d’ Antandro. Accortosi però, ad un tratto, d’avere smarrito la moglie Creusa, tornò a cercarla, ma l’ombra di lei, apparsagli, lo esortò a riprendere il cammino. Dal porto d’ Antandro cominciano le dolorose e numerose avventure di viaggio che, evidentemente, Virgilio, cantore d’ Enea, modellò in gran parte sul racconto delle peregrinazioni d’ Ulisse, cantate da Omero, nell’ Odissea.
Enea percorse prima la Tracia, poi l’isola di Delo, dove l’oracolo di Apollo, da lui interrogato, lo esortò ad andare in cerca della sua patria d’origine, ch’egli pensò potesse essere l’ isola di Creta donde era venuto uno dei primi re di Troia.
Ma, a rimetterlo sulla buona strada, i Penati, comparsigli in sogno, gli specificarono che la sua patria d’origine era l’ Italia.
La persecuzione di Giunone (la quale gli fu sempre crudelmente avversa) lo colpì quando egli ebbe ripreso il mare scagliandoli contro una terribile tempesta che lo sbalzò sul Mar Ionio e lo fece approdare alle isole Strofadi, dove le Arpie gli contaminarono la mensa, costringendolo a sciogliere di nuovo le vele.
Giunto a Butròto, nell’Epiro, vi trovò Eleno uno dei figli di Priamo, e noto indovino che aveva sposato Andromaca vedova di Ettore e di Pirro; e da lui ebbe il consiglio di puntare verso la Sicilia, dove gli mori il vecchio padre al quale diede onorata sepoltura sul monte Erice.
Una nuova tempesta, fatta ancora scatenare dall’implacabile Giunone, lo sbalzò dalla Sicilia a Cartagine dove, sempre per la nemica volontà della dea, innamorò la regina Didone dello stesso eroe, che un preciso comando di Giove gl’impose, poi, di abbandonare.
Tornato in Sicilia, e, di là, proseguendo sul lido d’ Italia, giunto a Cuma, interrogò la famosa Sibilla, la quale lo consigliò di scendere all’ Averno, per visitare, nell’ Eliso, il padre ed avere da lui notizie sulla sua futura discendenza.
Enea obbedì, per riprendere subito dopo il viaggio che lo portò finalmente sulle rive del Tevere, dove, appena giunto, la dea Cibèle cambiò in ninfe le navi di lui. Questo fu segno che l’approdo era quello voluto dal Destino.
Risalendo le foci del fiume, Enea giunse a Laurento, dove fu accolto favorevolmente dal re Latino, il quale gli permise di fondare nel suo territorio una città, e gli profferse in moglie la propria figlia Lavinia che, invece, la regina Amata aveva, in cuor suo, destinata a Turno re dei Rutuli: e per questo dissenso scoppiò la sanguinosa guerra, che finì con la morte di Turno per mano d’ Enea, e con le sue nozze con Lavinia, in onore della quale l’eroe vittorioso fondò la città di Lavinio.
Secondo la leggenda, dopo quattro anni di regno, Enea, in un combattimento contro gli Etruschi (alleati di Turno) presso il fiume Numicio, essendo scoppiata una tempesta, fra tuoni e lampi sarebbe sparito, a soli trentotto anni d’età.
Presso a poco nello stesso modo, in cui misteriosamente doveva scomparire, più tardi, Ròmolo; e Venere l’avrebbe essa stessa trasportato nell’Olimpo, per assumerlo fra gli dei sotto il nome di Giove Indigète. Dopo la sua scomparsa, Iulo fondò Alba; e dai continuatori del suo nome nacque, stirpe primigenia romana, la Gente Iulia, o Giulia.