Le lezioni, impartite all’aperto in forma di conversazione fra allievi e maestri, mescolano filosofie orientali e occidentali. Nel 1915 Tagore viene insignito da Giorgio V del titolo di baronetto, ma vi rinuncia nel 1919, in seguito al massacro di Amritsar.
Le sue opere, scritte originariamente in bengali e in parte tradotte in inglese dall’autore stesso, sono pervase da un profondo amore per la natura e da una religiosità di matrice panteista. Tra i volumi di poesia si ricorda, oltre alle liriche d’amore di Il paniere di frutta, scritte tra il 1913 e il 1915, l’anteriore Canti di offerta, che gli valse il premio Nobel nel 1913.
Il premio Nobel per la letteratura assegnato a Robindronath Tagore nel 1913 per le toccanti liriche del Ghitangioli, che con una libertà impensabile per l’austera Europa di inizio secolo si rivolgevano a un Dio conosciuto e sconosciuto insieme, stupendo le coscienze occidentali, fissò per sempre nellimmaginario collettivo il grande gurureb indiano nel ruolo del mistico. Ma quel personaggio misterioso e imponente, dalla lunga barba maestosa e dallo sguardo profondo e dolce, impenetrabile nella sua vasta cultura, quel Bisso kobi (Poeta universale), come lo chiamavano in patria, in realtà fu molto di più.
Poeta ed esteta, lirico e satirico, riformatore e filosofo, sognatore e uomo dazione, patriota e cosmopolita, Tagore scrisse romanzi, commedie, drammi, racconti, trasformando il prakrit locale, farcito di sanscrito, in una lingua letteraria di altissima perfezione; si cimentò con saggi filosofici, politici, religiosi; si interessò di pedagogia e di riforme sociali; lottò contro pregiudizi e superstizioni; si impegnò in realizzazioni concrete in campo educativo, culturale, agricolo, sempre sognando un mondo di pace universale, dove Dio avesse un solo nome, le culture si incontrassero come in un nido, e gli uomini fossero veramente fratelli.
Muore a Santiniketan, Bengala, nel 1941.