I 14 anni di segreteria furono preziosi per Machiavelli, perché gli consentirono di accumulare un’esperienza diretta della realtà politica e militare del tempo, da cui egli poté trarre lo spunto per le riflessioni, le teorie e le analisi trasferite poi nelle sue opere.
Fra le principali missioni diplomatiche ricordo quella tra luglio e il dicembre del 1500 presso il re di Francia Luigi XII (dove conobbe lo stato assoluto moderno, additandolo come un modello per uno stato italiano). Nel giugno 1502 presso il duca Valentino (Cesare Borgia) impadronitosi del ducato di Urbino (grazie al padre, papa Alessandro VI); la sua figura verrà usata come esempio della virtù che deve possedere un principe nuovo.
Machiavelli fu da Cesare Borgia pure fra l’ottobre e il gennaio del 1502/03. Nell’estate però muore il padre Alessandro VI, e poi pure Pio III, mancato l’appoggio paterno, e non riuscendo ad impedire l’elezione del suo più acerrimo nemico, papa Giulio II, il progetto politico di Borgia cade. Poco dopo si unirà agli avi trapassati.
Nel frattempo Machiavelli si dedicò all’attività letteraria, scrisse il “Decennale primo”, che pubblico nel 1506. In questi anni matura in lui la convinzione, poi espressa nel Principe e nell’Arte della guerra, di evitare le milizie mercenarie, ma di creare eserciti permanenti alle dirette dipendenze dello stato.
Egli si adoperò affinché i maggiorenti delle città creassero delle milizie comunali; una volta ottenuto ciò egli divenne segretario della costituita magistratura dei Nove, preposta a dirigere queste milizie.
Tra il 1507 e 1508 compì una lunga spedizione nel Tirolo, presso l’Imperatore Massimiliano d’Asburgo. Attraversò Svizzera e Germania, e rimase ammirato dalla compattezza delle comunità. Nel 1510 fu di nuovo presso il sovrano di Francia Luigi XII, per fungere da mediatore, per il confitto con il papa Giulio II (Ritratto delle cose di Francia).
Nella battaglia di Ravenna del 1512 i francesi (alleati di Firenze) furono sconfitti dalla lega santa (inclusa Spagna). La repubblica cadde e i Medici tornano a Firenze: Machiavelli fu licenziato da tutti i suoi incarichi. Per Niccolò fu un durissimo colpo, aggiunto poi al fatto che fu accusato di essere partecipe alla congiura antimedicea, ebbe così modo di ritirarsi in esilio forzato nel suo podere di Albergaccio. Lì si dedicò agli studi, tenendo però i contatti con la vita politica, con Francesco Vettori ambasciatore di Roma. In questo periodo scrisse il Principe (1513) e iniziò i Discorsi.
La lontananza dalla vita politica, per lui intollerabile, lo condusse a riavvicinarsi ai Medici, al fine di riottenere qualche incarico (dedicò loro il Principe, nel 1516: senza il successo sperato).
Nel 1519 morto Lorenzo, il governo della città fu assunto dal cardinale Giulio de’ Medici, più favorevole a Machiavelli. Egli lo incaricò di stendere una storia di Firenze, con adeguato compenso. Nel 1521 stampò i Dialoghi dell’Arte della guerra, dedicati al cardinale. Ancora a lui, divenuto nel 1523 papa Clemente VII, Machiavelli dedicò le Istorie fiorentine (1525). Cominciò poco a poco a riottenere incarichi, ma nel 1527 i Medici furono di nuovo scacciati e Machiavelli non riuscì più ad ottenere la segreteria.
Ammalatosi, muore il 21 giugno 1527.