dedicato ad Esculàpio, e al quale si recavano in pellegrinaggio, da
tutta la Grecia, gli ammalati ad implorare la guarigione.
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Voi potete, signor, ben tôrmi voi
con quel cor d'indurato diamante,
e farvi d'altra donna novo amante;
di che cosa non è, che più m'annoi;
ma non potete già ritormi poi
l'imagin vostra, il vostro almo sembiante,
che giorno e notte mi sta sempre innante,
poi che mi fece Amor de' servi suoi;
non potete ritôrmi quei desiri,
che m'acceser di voi sì caldamente,
il foco, il pianto, che per gli occhi verso.
Questi mi fien ne' miei gravi martìri
dolce sostegno, e la memoria ardente
del diletto provato, c'han disperso.
Gaspara Stampa (1523-1554)
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Una inaudita e nova crudeltate,
un esser al fuggir pronto e leggiero,
un andar troppo di sue doti altero,
un tôrre ad altri la sua libertate,
un vedermi penar senza pietate,
un aver sempre a' miei danni il pensiero,
un rider di mia morte quando pèro,
un aver voglie ognor fredde e gelate,
un eterno timor di lontananza,
un verno eterno senza primavera,
un non dar giamai cibo a la speranza
m'han fatto divenir una Chimera,
uno abisso confuso, un mar, ch'avanza
d'onde e tempeste una marina vera
Gaspara Stampa (1523-1554)
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S'una vera e rarissima umiltate,
una fé più che marmo e scoglio salda,
una fiamma ch'abbrucia, non pur scalda,
un non curar de la sua libertate,
un, per piacer a le due luci amate,
aver l'alma al morir ardita e balda,
un liquefarsi come neve in falda
mertan per tempo omai trovar pietate.
io devrei pur sperar d'aprir lo scoglio,
ch'intorno al core ha il mio signor sì sodo,
ch'altrui pregare o strazio anco non franse.
Ed io ne prego ardente, come soglio,
Amor e lui, che m'hanno stretto il nodo,
e san quanto per me si piange e pianse.
Gaspara Stampa (1523-1554)
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