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S’una candida fede (Gaspara Stampa)

S'una candida fede, un cor sincero,
una gran riverenza, una infinita
voglia a servir altrui pronta ed ardita,
un servo grato al suo signor mai fêro,
devrebbe pur, signor, l'affetto vero
e la mia fede esser da voi gradita,
se i vostri onor più cari che la vita
mi fûr mai sempre, e più ch'oro ed impero.
Ma poi che mia fortuna mi contende
mercé sì giusta, poi che a sì gran torto
a schivo il servir mio da voi si prende,
ciò ch'a voi piace paziente porto,
sperando pur che Dio, che tutto intende,
vi faccia un dì de la mia fede accorto.

Gaspara Stampa (1523-1554)
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Se ‘l fin degli occhi miei e del pensiero (Gaspara Stampa)

Se 'l fin degli occhi miei e del pensiero
Sè 'l vedervi e di voi pensar, mia vita,
poi l'un mi tolse l'empia dipartita
ch'io fei da voi per non dritto sentiero,
l'imagin del sembiante vostro vero
mi sta sempre nel cor fissa e scolpita,
qual donna in parte, ove sia più gradita
che gemme oriental, oro od impero.
Ma, perché l'alma disiosa e vaga,
troppo aggravata d'amorosa sete,
di questo sol rimedio mal s'appaga,
fate le luci mie gioiose e liete,
signor, di vostra vista, e questa piaga
saldate, che voi sol saldar potete.

Gaspara Stampa (1523-1554)
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Se voi vedete a mille chiari segni (Gaspara Stampa)

Se voi vedete a mille chiari segni
che tanto ho cara, e non più, questa vita,
quant'è con voi, quant'è da voi gradita,
ultimo fin de tutti i miei disegni,
a che pur con nov'arte e novi ingegni
darmi qualche novella aspra ferita,
tramando or questa, or quella dipartita,
quasi ogni pace mia da voi si sdegni?
Se volete ch'io mora, un colpo solo
m'uccida, sì ch'omai si ponga fine
ai dispiacervi, al vivere ed al duolo;
perché così sta sempre sul confine
di morte l'alma, e mai non prende il volo,
pensando pur a voi, luci divine.

Gaspara Stampa (1523-1554)
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Quando mostra a quest’occhi (Gaspara Stampa)

Quando mostra a quest'occhi Amor le porte
de l'immensa bellezza ed infinita
de l'unico mio sol, l'alma invaghita
de le sue glorie par che si conforte.
Quando poi mostra a la memoria a sorte
quelle di crudeltà mai non udita,
tutta a l'incontro afflitta e sbigottita
resta preda ed imagine di morte.
E così vita e morte, e gioie e pene,
e temenza e fidanza, e guerra e pace
per le tue mani, Amor, d'un luogo viene.
Né questo vario stato mi dispiace,
sì son dolci i martìri e le catene;
ma temo che sarà breve e fugace.

Gaspara Stampa (1523-1554)
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Poi che disia cangiar pensiero (Gaspara Stampa)

Poi che disia cangiar pensiero e voglia
l'empio signor, ch'onoro ed amo tanto,
senza curar de' fiumi del mio pianto,
e del mancar de la mia frale spoglia,
io prego morte, che di qua mi toglia,
perché non abbia questo crudo il vanto;
o prego Amor, che mi rallenti alquanto,
poi che de' doni suoi tutta mi spoglia;
sì che o morta non vegga tanto danno,
o viva e sciolta non lo stimi molto,
allor che gli occhi altro mirar sapranno.
Dunque o sia falso il mio temere e stolto,
o resti sciolta al rinovar de l'anno,
o queti il corpo in bel marmo sepolto.

Gaspara Stampa (1523-1554)
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Occhi miei lassi (Gaspara Stampa)

Occhi miei lassi, non lasciate il pianto,
come non lascian me téma e spavento
di veder tosto a noi rubato e spento
il lume ch'amo e riverisco tanto.
Pregate morte, se si può, fra tanto
che mi venga essa a cavar fuor di stento;
perché morir a un tratto è men tormento,
che viver sempre a mille morti a canto.
Io direi che pregaste prima Amore
che facesse cangiar voglia e pensiero
al nostro crudo e disleal signore;
ma so che saria invan, perché sì fiero,
così indurato ed ostinato core
non ebbe mai illustre cavaliero.

Gaspara Stampa (1523-1554)
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Io accuso talora Amor e lui (Gaspara Stampa)

Io accuso talora Amor e lui
ch'io amo; Amor, che mi legò sì forte;
lui, che mi può dar vita e dammi morte,
cercando tôrsi a me per darsi altrui;
ma, meglio avista, poi scuso ambedui,
ed accuso me sol de la mia sorte,
e le mie voglie al voler poco accorte,
ch'io de le pene mie ministra fui.
Perché, vedendo la mia indegnitade,
devea mirar in men gradito loco,
per poterne sperar maggior pietade.
Fetonte, Icaro ed io, per poter poco
ed osar molto, in questa e quella etade
restiamo estinti da troppo alto foco.

Gaspara Stampa (1523-1554)
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Fammi pur certa (Gaspara Stampa)

Fammi pur certa, Amor, che non mi toglia
tempo, fortuna, invidia o crudeltade
la mia viva ed angelica beltade,
quella ch'appaga e queta ogni mia voglia;
e dammi quanto sai tormento e doglia:
che tutto mi sarà gioia e pietade;
tommi riposo, tommi libertade,
e, se ti par, tommi anco questa spoglia:
che per certo io morrò lieta e contenta,
morendo sua, pur che non vegga io
ch'ella sia fatta d'altra donna, o senta.
Questa sol tèma turba il piacer mio,
questa fa ch'a' miei danni non consenta,
e fa la speme ritrosa al desio.

Gaspara Stampa (1523-1554)
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Che bella lode (Gaspara Stampa)

Che bella lode, Amor, che ricche spoglie
avrai d'una infiammata giovenetta,
che t'è stata sì fida e sì soggetta,
seguendo più le tue che le sue voglie,
se per te così tosto si discioglie
da la catena, che l'aveva stretta,
la qual le piace sì, sì le diletta,
ch'a penar dolcemente par l'invoglie?
Non conviene ad un dio l'esser sì lieve,
massimamente quando il cangiar stato
non è diletto altrui, ma doglia greve.
Ma tu pur segui il tuo costume usato,
e fai la gioia mia fugace e breve,
ritogliendomi il ben che m'hai donato.

Gaspara Stampa (1523-1554)
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Cantate meco (Gaspara Stampa)

Cantate meco, Progne e Filomena,
anzi piangete il mio grave martìre,
or che la primavera e 'l suo fiorire
i miei lamenti e voi, tornando, mena.
A voi rinova la memoria e pena
de l'onta di Tereo e le giust'ire;
a me l'acerbo e crudo dipartire
del mio signore morte empia rimena.
Dunque, essendo più fresco il mio dolore,
aitatemi amiche a disfogarlo,
ch'io per me non ho tanto entro vigore.
E, se piace ad Amor mai di scemarlo,
io piangerò poi 'l vostro a tutte l'ore
con quanto stile ed arte potrò farlo.

Gaspara Stampa (1523-1554)
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