Tutti gli articoli di paulus

Ultime parole a Miriam (David Herbert Lawrence)

Tua è la pena scontrosa
soltanto mia è la vergogna.
Il tuo amore era intenso, profondo
il mio era quello di un fiore
che cresce verso la luce e il sole.
Tu avesti il potere di esplorarmi
di farmi fiorire stelo dopo stelo
svegliasti tu il mio spirito, mi generasti
alla coscienza, mi desti la severa
consapevolezza: poi io incontrai un ostacolo.

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Amaranta (Rafael Alberti)

Biondi, lucidi seni di Amaranta,

limati da una lingua di levriero.

Portico di limoni, dal sentiero

disviati che alla tua gola monta.

Rosso, un ponte di riccioli sormonta

il volto e incendia i tuoi ondulati avorii.

Morde e ferisce dei denti il biancore,

curvo, per aria, ti innalza nel vento.

Solitudine dorme in ombratura,

calza il suo piede di zeffiro e scende

dall'alto olmo al mar della pianura.

E il corpo in ombra, oscuro, le si accende,

e gladiatrice, come brace impura,

tra Amaranta e il suo amante si distende


Rafael Alberti
(1902-1999)
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Quegli occhi ornati di mestizia e riso (Leon Battista Alberti)

Quegli occhi ornati di mestizia e riso,
quel fronte grave di costume e fede,
quel ragionar prudente e pien d'amore,
quella semplice astuzia in quel sospetto,
quel servir ostinato, quello isdegno,
que' vezzosi talora in pruova crucci,
e quelle dolce pace doppo i crucci,
e quelle lacrimette in fra quel viso,
e subbito scordarsi ogni gran sdegno,
e rannodar fra noi più intera fede

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Quel primo antico sai’ ch’amor dipinse (Leon Battista Alberti)

Quel primo antico sai' ch'amor dipinse

nudo fanciullo coll'ale ventose,

(non ebbe mani pur maravigliose?)

e dolci agli occhi poi quel velo acinse,

certo costui Amor troppo ben finse,

ché vide amanti mai poter ascose

tener suo voglie giovinili, e puose

che lume in lui di ragion ma' vinse.

Diedegli face, strali in mano ed arco,

co' qual da lungi ed ascoso ferisce;

tien dolce pena, al cor meror eterno,

sforza chi 'l fugge, e chi 'l segue nutrisce

di speme incerta, e mai lo soffra scarco

d'infiniti sospetti e nuovo scherno.


Leon Battista Alberti
(1404-1472)
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La principessa nella torre (fiaba svedese)

C’erano una volta un re e una regina che vivevano felici con la loro unica figlia. Ma un brutto giorno la regina si ammalò e morì e dopo qualche tempo il re volle riprendere moglie.
Sposò una dama nobile che aveva due figlie, senza sapere che questa in realtà era una strega. Un giorno il re dovette partire per un viaggio e allora la matrigna prese la principessa ed i suoi servi fedeli e li chiuse in una torre.
 

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Ridi, s’i piango, ridi, falsa! (Leon Battista Alberti)

Ridi, s'i piango, ridi, falsa! Bene

ti pare esser beata,

se adoperi tuo sdegno in darmi pene.

Merita questo da te chi tu sai

quanto e' sia a te sola suggetto?

Ahi! troppa ingiusta, se pigli diletto

tenere chi t'ama in cotanti lai.

Ma un conforto prende il mio dolore,

che rado in donna amata

suol poter sdegno senza grande amore


Leon Battista Alberti
(1404-1472)
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S’i’ sto doglioso, ignun si maravigli (Leon Battista Alberti)

S'i' sto doglioso, ignun si maravigli,

poiché sì vuol chi può quel che le piace.

Non so quando aver debba omai più pace

l'alma ismarrita infra tanti perigli.

Misero me! A che convien s'appigli

mia vana speme, debile e fallace?

Né rincrescer mi può chi ciò mi face.

Amor, che fai? Perché non mi consigli?

Ben fora tempo ad avanzar tuo corso,

che la stanca virtù ognor vien meno,

né molto d'amendue già mi confido.

Ma s'ancora a pietà s'allarga il freno,

tengo ch'assai per tempo fia il soccorso.

Se non, tosto udirai l'ultimo istrido


Leon Battista Alberti
(1404-1472)
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De gli occhi de la mia donne (Dante Alighieri)

De gli occhi de la mia donna si move
un lume sì gentil che, dove appare,
si veggion cose ch' uom non pò ritrare
per loro altezza e per lor esser nove:
e de' suoi razzi sovra 'l meo cor piove
tanta paura, che mi fa tremare
e dicer : "Qui non voglio mai tornare"
ma poscia perdo tutte le mie prove:
e tornomi colà dov'io son vinto,
riconfortando gli occhi paurusi,
che sentier prima questo gran valore.
Quando son giunto, lasso!, ed e' son chiusi;
lo disio che li mena quivi è stinto:
però proveggia a lo mio stato Amore.


Dante Alighieri
(1265-1321)
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