che sfuggono a chi sogna solo di notte. Edgar Allan
Poe
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Non il piacere, ma l'assenza di dolore è l'obiettivo dell'uomo saggio. Aristotele
La poesia non cerca seguaci, cerca amanti. Federico Garcia Lorca
Dovunque tu vada, vacci con tutto il cuore. Confucio
Vengan quante fûr mai lingue ed ingegni,
quanti fûr stili in prosa, e quanti in versi,
e quanti in tempi e paesi diversi
spirti di riverenza e d'onor degni;
non fia mai che descrivan l'ire e' sdegni,
le noie e i danni, che 'n amor soffersi,
perché nel vero tanti e tali fêrsi,
che passan tutti gli amorosi segni.
E non fia anche alcun, che possa dire,
anzi adombrar la schiera de' diletti
ch'Amor, la sua mercé, mi fa sentire.
Voi, ch'ad amar per grazia sète eletti,
non vi dolete dunque di patire;
perché i martir d'Amor son benedetti.
Gaspara Stampa
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Io temo che la mia disaventura
non faccia s' ch'i' dica: – I' mi dispero – ,
però ch'i' sento nel cor un pensero
che fa tremar la mente di paura,
e par che dica: – Amor non t'assicura
in guisa, che tu possi di leggero
a la tua donna s' contar il vero,
che Morte non ti ponga 'n sua figura – .
De la gran doglia che l'anima sente
si parte da lo core uno sospiro
che va dicendo: – Spiriti, fuggite – .
Allor d'un uom che sia pietoso miro,
che consolasse mia vita dolente
dicendo: – Spiritei, non vi partite!
Guido Cavalcanti
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Alessàndro Màgno (Pella 356 a. C.-Babilonia 323 a. C.) Alessandro III, detto Magno (il Grande), nacque a Pella nel luglio del 356 a. C. da Filippo II, re dei macedoni, e dalla principessa dell’Epiro Olimpiade, donna dalle ambizioni e dal temperamento selvaggio. Alessandro era visto dalla tradizione dei re macedoni come un discendente di Eracle e dalla casa reale epirota come un discendente di Achille. Questi due mitici antenati, che rappresentavano l’anima greca e la natura barbara di Alessandro, lo accompagnarono per tutta la vita.
O dea, che governi la tua amata Anzio,
che sai dalla loro condizione piú vile
sollevare gli uomini e la superbia
dei nostri trionfi trasformare in lutti,
con preghiera piena d'affanno nel suo campo
t'invoca il contadino in miseria e sul mare
di Càrpato, regina delle acque,
chiunque in nave di Bitinia lo sfidi.
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Tiepido e incostante cultore degli dei,
mentre, tronfio di una folle dottrina, vado
errando, a voltare le vele
sono costretto e a riprendere la rotta
abbandonata, perché dio padre, che sempre
fende le nubi col fuoco dei lampi, ora
nel cielo sereno ha lanciato
in volo col cocchio i cavalli tonanti,
e tremano il massiccio della terra, i fiumi
che scorrono, lo Stige, l'orribile e odiato
antro di Tènaro, il confine
di Atlante. La divinità può mutare
l'infimo in sommo, avvilire chi è al vertice,
mettendo in luce ciò che è oscuro; e la fortuna
con acuto stridore a forza
strappa all'uno la tiara, all'altro la dona.
Orazio – Odi