Archivi categoria: Poesia

Voi che per li occhi mi passaste ‘l core (Guido Cavalcanti)

Voi che per li occhi mi passaste 'l core

e destaste la mente che dormia,

guardate a l'angosciosa vita mia,

che sospirando la distrugge Amore.

E vèn tagliando di s' gran valore,

che' deboletti spiriti van via:

riman figura sol en segnoria

e voce alquanta, che parla dolore.

Questa vertù d'amor che m'ha disfatto

da' vostr' occhi gentil' presta si mosse:

un dardo mi gittò dentro dal financo.

Si giunse ritto 'l colpo al primo tratto,

che l'anima tremando si riscosse

veggendo morto 'l cor nel lato manco.


Guido Cavalcanti
(1259-1300)
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Tu m’hai s’ piena di dolor la mente (Guido Cavalcanti)

Tu m'hai s' piena di dolor la mente,

che l'anima si briga di partire,

e li sospir' che manda 'l cor dolente

mostrano agli occhi che non può soffrire.

Amor, che lo tuo grande valor sente,

dice: – E' mi duol che ti convien morire

per questa fiera donna, che nïente

par che piatate di te voglia udire – .

I' vo come colui ch'è fuor di vita,

che pare, a chi lo sguarda, ch'omo sia

fatto di rame o di pietra o di legno,

che si conduca sol per maestria

e porti ne lo core una ferita

che sia, com' egli è morto, aperto segno.

Guido Cavalcanti (1259-1300)
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Veder poteste, quando v’inscontrai (Guido Cavalcanti)

Veder poteste, quando v'inscontrai,

quel pauroso spirito d'amore

lo qual sòl apparir quand'om si more,

e 'n altra guisa non si vede mai.

Elli mi fu s' presso, ch'i' pensai

ch'ell' uccidesse lo dolente core:

allor si mise nel morto colore

l'anima trista per voler trar guai;

ma po' sostenne, quando vide uscire

degli occhi vostri un lume di merzede,

che porse dentr' al cor nova dolcezza;

e quel sottile spirito che vede

soccorse gli altri, che credean morire,

gravati d'angosciosa debolezza.

Guido Cavalcanti (1259-1300)
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Vedete ch’i’ son un che vo piangendo (Guido Cavalcanti)

Vedete ch'i' son un che vo piangendo

e dimostrando – il giudicio d'Amore,

e già non trovo s' pietoso core

che, me guardando, – una volta sospiri.

Novella doglia m'è nel cor venuta,

la qual mi fa doler e pianger forte;

e spesse volte avèn che mi saluta

tanto di presso l'angosciosa Morte,

che fa 'n quel punto le persone accorte,

che dicono infra lor: – Quest' ha dolore,

e già, secondo che ne par de fòre,

dovrebbe dentro aver novi martiri – .

Questa pesanza ch'è nel cor discesa

ha certi spirite' già consumati,

i quali eran venuti per difesa

del cor dolente che gli avea chiamati.

Questi lasciaro gli occhi abbandonati

quando passò nella mente un romore

il qual dicea: – Dentro, Biltà, ch'e' more;

ma guarda che Pietà non vi si miri!. –


Guido Cavalcanti
(1259-1300)
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A me stesso di me … (Guido Cavalcanti)

A me stesso di me pietate vène

per la dolente angoscia ch'i' mi veggio:

di molta debolezza quand'io seggio,

l'anima sento ricoprir di pene,

Tutto mi struggo, perch'io sento bene

che d'ogni angoscia la mia vita è peggio;

la nova donna cu' merzede cheggio

questa battaglia di dolor' mantene:

però che, quand' i' guardo verso lei,

rizzami gli occhi dello su' disdgno

s' feramente, che distrugge 'l core.

Allor si parte ogni vertù da' miei

e 'l cor si ferma per veduto segno

dove si lancia crudeltà d'amore.


Guido Cavalcanti
(1259-1300)
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Biltà di donna (Guido Cavalcanti)

Biltà di donna e di saccente core

e cavalieri armati che sien genti;

cantar d'augilli e ragionar d'amore;

adorni legni 'n mar forte correnti;

aria serena quand' apar l'albore

e bianca neve scender senza venti;

rivera d'acqua e prato d'ogni fiore;

oro, argento, azzuro 'n ornamenti:

ciò passa la beltate e la valenza

de la mia donna e 'l su' gentil coraggio,

s' che rasembra vile a chi ciò guarda;

e tanto più d'ogn' altr' ha canoscenza,

quanto lo ciel de la terra è maggio.

A simil di natura ben non tarda


Guido Cavalcanti
(1259-1300)
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Deh, spiriti miei (Guido Cavalcanti)

Deh, spiriti miei, quando mi vedete

con tanta pena, come non mandate

fuor della mente parole adornate

di pianto, dolorose e sbigottite?

Deh, voi vedete che 'l core ha ferite

di sguardo e di piacer e d'umiltate:

deh, i' vi priego che voi 'l consoliate

che son da lui le sue vertù partite.

I' veggo a luï spirito apparire

alto e gentile e di tanto valore,

che fa le sue vertù tutte fuggire.

Deh, i' vi priego che deggiate dire

a l'alma trista, che parl' in dolore,

com' ella fu e fie sempre d'Amore.


Guido Cavalcanti
(1259-1300)
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S’io prego questa donna (Guido Cavalcanti)

S'io prego questa donna che Pietate

non sia nemica del su' cor gentile,

tu di' ch'i' sono sconoscente e vile

e disperato e pien di vanitate.

Onde ti vien s' nova crudeltate?

Già risomigli, a chi ti vede, um'le,

saggia e adorna e accorta e sottile

e fatta a modo di soavitate!

L'anima mia dolente e paurosa

piange ne li sospir' che nel cor trova,

s' che bagnati di pianti escon fòre.

Allora par che ne la mente piova

una figura di donna pensosa

che vegna per veder morir lo core.

Guido Cavalcanti (1259-1300)

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La Ginestra (Giacomo Leopardi)

La poesia è dedicata alla ginestra, unica pianta
felice di crescere sui versanti aridi del formidabile "monte
sterminatore" Vesuvio. C'è quindi una descrizione della distesa lavica
arida e rocciosa che, sdrucciolevole, "suona sotto i passi del
viandante". Un ambiente amato dai serpenti dove soltanto i conigli
trovano rifugio nelle loro "cavernose tane". Un tempo però in questo
stesso luogo vi erano villaggi, campi fertili, pascoli e giardini. Qui
sorgevano città famose e ricchi palazzi, preferita meta di soggiorno
delle più importanti personalità.

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La sera del dì di festa (Giacomo Leopardi)

Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna. O donna mia,
Già tace ogni sentiero, e pei balconi
Rara traluce la notturna lampa:
Tu dormi, che t'accolse agevol sonno
Nelle tue chete stanze; e non ti morde
Cura nessuna; e già non sai nè pensi
Quanta piaga m'apristi in mezzo al petto.

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