Archivi categoria: Poesia

Donna Genovese (Dino Campana)

Tu mi portasti un po' d'alga marina

Nei tuoi capelli, ed un odor di vento,

che corso di lontano e giunge grave

D'ardore,era nel tuo corpo bronzino:

– Oh divina

Semplicità delle tue forme snelle –

Non amore non spasimo, un fantasma,

Un'ombra della necessità che vaga

Serena e ineluttabile per l'anima

E la discioglie in gioia, in incanto serena

Perch per l'infinito lo scirocco

Se la possa portare.

Come piccolo il mondo e leggero nelle tue mani!

Dino Campana

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Crin d’oro crespo (Pietro Bembo)

Crin d'oro crespo e d'ambra tersa e pura,

ch'a l'aura su la neve ondeggia e vole,

occhi soavi e pi chiari che'l sole,

da far giorno seren la notte oscura,

riso, ch'acqueta ogni aspra pena e dura,

rubini e perle, ond'escono parole

s dolci, ch'altro ben l'alma non vle,

man d'avorio, che i cor distringe e fura,

cantar, che sembra d'armonia divina,

senno maturo a la pi verde etade,

leggiadra non veduta unqua fra noi,

giunta a somma belt somma onestade,

fur l'esca del mio foco, e sono in voi

grazie, ch'a poche il ciel destina.

Pietro Bembo

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Il canto de li augei de fronda in fronda (Matteo Maria Boiardo)

Il canto de li augei de fronda in fronda

e lo odorato vento per li fiori

e lo ischiarir de' lucidi liquori,

che rendon nostra vista pi ioconda,

son perch la Natura e il Ciel seconda

costei, che vuol che'l mondo se inamori;

cos di dolci voci e dolci odori

l'aria, la terra gi ripiena e l'onda.

Dovunque e' passi move on gira il viso,

fiamegia uno spirto si vivo d'amore

che avanti a la stagione il caldo mena.

Al suo dolce guardare, al dolce riso

l'erba vien verde e colorito il fiore,

e il mar se aqueta e il ciel se raserena.

Matteo Maria Boiardo

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Qui ti amo… (Pablo Neruda)

Qui ti amo.
Negli oscuri pini si districa il vento.
Brilla la luna sulle acque erranti.
Trascorrono giorni uguali che s’inseguono.

La nebbia si scioglie in figure danzanti.
Un gabbiano d’argento si stacca dal tramonto.
A volte una vela. Alte, alte, stelle.

O la croce nera di una nave.
Solo.
A volte albeggio, ed è umida persino la mia anima.
Suona, risuona il mare lontano.
Questo è un porto.
Qui ti amo.

Qui ti amo e invano l’orizzonte ti nasconde.
Ti sto amando anche tra queste fredde cose.
A volte i miei baci vanno su quelle navi gravi,
che corrono per il mare verso dove non giungono.
Mi vedo già dimenticato come queste vecchie àncore.
I moli sono più tristi quando attracca la sera.

La mia vita s’affatica invano affamata.
Amo ciò che non ho. Tu sei così distante.
La mia noia combatte coni lenti crepuscoli.
Ma la notte giunge e incomincia a cantarmi.
La luna fa girare la sua pellicola di sogno.

Le stelle più grandi mi guardano con i tuoi occhi.
E poiché io ti amo, i pini nel vento
vogliono cantare il tuo nome con le loro foglie di filo metallico.

da Venti poesie d’amore e una canzone disperata

Perchè tu possa ascoltarmi…

Perchè tu possa ascoltarmi le mie parole
si fanno sottili, a volte,
come impronte di gabbiani sulla spiaggia.

Collana, sonaglio ebbro
per le tue mani dolci come l’uva.

E le vedo ormai lontane le mie parole.
Più che mie sono tue.
Come edera crescono aggrappate al mio dolore antico.

Così si aggrappano alle pareti umide.
E’ tua la colpa di questo gioco cruento.

Stanno fuggendo dalla mia buia tana.
Tutto lo riempi tu, tutto lo riempi.

Prima di te hanno popolato la solitudine che occupi,
e più di te sono abituate alla mia tristezza.

Ora voglio che dicano ciò che io voglio dirti
perchè tu le ascolti come voglio essere ascoltato.

Il vento dell’angoscia può ancora travolgerle.
Tempeste di sogni possono talora abbatterle.
Puoi sentire altre voci nella mia voce dolente.
Pianto di antiche bocche, sangue di antiche suppliche.
Amami, compagna. Non mi lasciare. Seguimi.
Seguimi, compagna, su quest’onda di angoscia.

Ma del tuo amore si vanno tingendo le mie parole.
Tutto ti prendi tu, tutto.

E io le intreccio tutte in una collana infinita
per le tue mani bianche, dolci come l’uva.

Pablo Neruda (da Venti poesie d’amore e una canzone disperata)

Corpo di donna… (Pablo Neruda)

Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche,
assomigli al mondo nel tuo gesto di abbandono.
Il mio corpo di rude contadino ti scava
e fa scaturire il figlio dal fondo della terra.

Fui solo come un tunnel. Da me fuggivano gli uccelli
e in me irrompeva la notte con la sua potente invasione.
Per sopravvivere a me stesso ti forgiai come un'arma,
come freccia al mio arco, come pietra per la mia fionda.

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Quando ti sciogli i capelli col kanghi (Qalandar-bakhsh Giur’at)

Quando ti sciogli i capelli col kanghi*,
sconvolgi il cuore e quell'arruffio
vedendo, s'arruffa l'anima in petto…
La fronte tua per purezza s'accompagna alla luna
e come la luna mostra un marchio d'amore sul cuore.
Le sopracciglia son archi, al vedere i quali, nel seno
senza apparente ferita s'infligge, scagliata, la freccia.
Son streghe gli occhi, pugnali le ciglia, lancia lo sguardo
e il mobile volger degli occhi carezza grazioso il cuore…
Come pesce fuor d'acqua palpita il cuore agli amanti
allorch tu fai vibrare voluttuosa le nari.
Somigliano a vivi rubini le labbra rosse di betel
socchiuse, e dietro si mostrano scintillanti perle di denti…
Ritti e sodi i seni che non entrano nella mia mano
e il cuore sconvolto da quella durezza, e la mente.
Il ventre liscio lenzuolo di farina, e l'ombelico
turba lo sguardo quando si eleva il kurti**
per una tua mossa improvvisa…
E quando vago lo sguardo sul pube ricolmo, il
sospiro svela felice quello che teneva velato e nascosto.
Sode, bianche e rotonde sono le natiche sue,
che, a passarci sopra la mano, vibra di gioia la pelle…

Qalandar-bakhsh Giur'at

*   kanghi = pettine
** kurti = camicetta

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