In questo contesto, tra scontri cruenti e ribellioni fallite, si arriva al 1916, quando un gruppo di patrioti cattolici occupa l’ufficio delle poste di Dublino e proclama la repubblica d’Irlanda. La rivolta viene sedata in poco tempo dalle truppe inglesi e i rivoltosi fucilati, ma è anche grazie a questo episodio che (nel giro di pochi anni) una delegazione del governo irlandese arriva a firmare un trattato che sancisce la nascita dello "Stato libero" d’Irlanda che comprende ventisei contee, ma che esclude l’Ulster, cioè l’attuale Irlanda del Nord, tutt’ora sotto dominio britannico. In pratica, la delegazione irlandese aveva accettata la scissione dell’isola.
Questa spartizione non è mai stata accettata dall’IRA (Irish Republican Army), il gruppo armato paramilitare irlandese, nato qualche anno prima, che comincia una lotta per la riconquista della regione. Scoppia così, nel 1921, la prima guerra civile che durerà fino al 1923, quando il presidente irlandese, nonché fondatore dell’IRA, Eamon De Valera, invita i combattenti alla resa, permettendo il ritorno ad una relativa tranquillità.
Il conflitto in Irlanda del Nord come noi lo conosciamo oggi, ovvero con gli attentati terroristici dell’IRA e le altrettanto cruente, però forse meno note, azioni delle squadracce protestanti dell’UDA (Ulster Defence Association) e dell’UVF (Ulster Volunteer Force), ha inizio a partire dal 1968. In quell’anno, sull’onda della rivoluzione sociale che stava attraversando il mondo intero e spinti dai movimenti pacifisti, cominciano le marce per la pace in Irlanda del Nord. Le manifestazioni sono guidate dalla Northern Ireland Civil Rights Association (NICRA), formata in gran parte da studenti universitari cattolici. Queste dimostrazioni pacifiste – immediatamente attaccate dagli orangisti – si inseriscono in uno dei periodi più cupi della storia dell’Ulster, caratterizzata dai cosiddetti Troubles, gli scontri feroci tra cattolici (sostanzialmente irredentisti) e protestanti (decisamente filo britannici) – con il continuo intervento della polizia – che segneranno tutto l’arco degli anni Settanta.
Col passare del tempo i contrasti tra le diverse fazioni irlandesi si fanno sempre più accesi. Il governo inglese decide allora di inviare l’esercito di sua maestà nel tentativo di sedare quella che era divenuta una vera e propria guerra civile. I militari inglesi vengono dapprima accolti con entusiasmo dalla popolazione cattolica che sembra aver smarrito il coraggio e l’impegno indipendentista dell’Esercito Repubblicano Irlandese, l’IRA, indebolito a causa di forti dissapori interni.
Tutto però cambia nel giro di poco tempo. L’IRA arriva ad una vera e propria scissione: da una parte l’IRA – Official, a cui appartiene la dirigenza, di stampo marxista-leninista, ma sostanzialmente non violenta, e dall’altro l’IRA – Provisional, che invece considera fondamentale l’utilizzo della forza per porre fine alle ingiustizie presenti nell’Ulster.
Nel 1970, durante i consueti scontri estivi per la commemorazione della vittoria orangista di Guglielmo d’Orange, l’IRA decide di intervenire al fianco del suo popolo, cacciando l’esercito inglese da varie zone di Belfast e soprattutto dal Bogside di Derry che viene ribattezzato Free Derry. Con questa scelta l’IRA conquista sul campo i favori dei cattolici,.
Il 30 gennaio 1972 è una data che ha segnato la storia della lotta nordirlandese. Quel giorno, una domenica, viene da allora ricordato con il nome di bloody Sunday, domenica di sangue. A Londonderry (Derry per i cattolici), una manifestazione contro l’internamento senza processo, una legge introdotta qualche anno prima dal Parlamento di Londra, si conclude con il feroce attacco dell’esercito inglese che apre il fuoco sui manifestanti e uccide 13 civili disarmati, tra cui 6 minorenni. Il giro di vite britannico non si accontenta dei morti sulle piazze: il Parlamento irlandese di Stormont viene soppresso e il potere viene centralizzato a Westminster.
Le violenze non si placano nemmeno dentro le prigioni in cui i cattolici e gli appartenenti all’IRA vengono incarcerati e torturati. Molti sono in quel periodo gli errori giudiziari. Il più conosciuto, perché ricostruito qualche anno fa dal film Nel nome del padre, è il caso dei cosiddetti quattro di Guildford: quattro ragazzi accusati di una strage terroristica nel 1974 e liberati nel 1989, dopo essere stati riconosciuti non colpevoli.
La stretta repressiva del potere centrale britannico giunge al suo apice nel 1976 quando il governo di Londra decide di togliere lo status di prigioniero politico ai militanti repubblicani irlandesi condannati per reati collegati al conflitto, limitando alcuni loro diritti. Questa abolizione prevede (tra l’altro) che i prigionieri indossino l’uniforme carceraria e smettano i vestiti civili. I prigionieri si rifiutano e cominciano la blanket protest. Si coprono solo con una coperta e nel giro di poco tempo rincarano la dose dando inizio alla no wash protest con cui si rifiutano di lavarsi, radersi e svuotare i buglioli delle celle. In poco tempo l’aria nelle prigioni diviene irrespirabile. I detenuti spalmano i loro escrementi sulle pareti delle celle, finendo per vivere in uno stato igienico infimo. Queste forme di protesta, eclatanti, si trascinano fino al 1980 quando vengono portate alle estreme conseguenze: alcuni prigionieri delle carceri di Maze (ex Long Kesh) e di Armagh cominciano lo sciopero della fame. E’ una forma di protesta durissima che ha lo scopo di imporre ai britannici il rispetto dei diritti dei prigionieri: quello di poter tornare ad indossare abiti civili, di astenersi dal lavoro carcerario, di potersi liberamente riunire, di autorganizzarsi, di poter aspirare alla riduzione di pena. Nessuna di queste richieste viene concessa dal governo inglese – alla cui presidenza, dal 1979, siede Margaret Thatcher – a coloro che sono considerati unicamente dei terroristi.
Il 1° marzo 1981 lo sciopero della fame viene indetto ad oltranza. Bobby Sands, uno dei prigionieri che aveva iniziato questa drastica forma di protesta, viene candidato alle elezioni politiche del 10 aprile: lo scopo è quello di farlo eleggere e consentirgli di entrare a Westminster. Ma Sands rifiuta qualsiasi sorta di patteggiamento con il governo centrale britannico e sceglie di morire di fame, dopo 66 giorni di agonia.
Dopo Bobby Sands altri nove ragazzi decidono di fare la sua stessa fine: si lasciano morire. Ma Londra non cede. La tensione tra cattolici irlandesi e governo di sua maestà è al limite. La morte degli scioperanti non sarà, però, avvenuta invano. Sconfitti sul piano pratico, i militanti dell’IRA ottengono un enorme successo politico: la causa dell’Irlanda del Nord è ora sotto gli occhi del mondo.
Due anni dopo, Gerry Adams, leader del partito cattolico Sinn Fein, viene eletto al Parlamento inglese. Il conflitto continua. Anzi si inasprisce. Il 12 ottobre 1984 ha una grande risonanza l’attacco amato dell’IRA al congresso del Partito Conservatore in svolgimento a Brighton: la Thatcher si salva solo per un miracolo. Durante tutto l’arco gli anni ’80 la violenza dilaga: omicidi ed esecuzioni avvengono da ambo le parti, con una crescita notevole degli attacchi dei lealisti ai cattolici.
Si arriva così al fatidico 31 agosto 1994, giorno in cui l’IRA decide il cessate il fuoco unilaterale e senza limiti di tempo. Qualche mese dopo, anche i commando lealisti depongono le armi.
Nonostante i buoni propositi iniziali, il processo di pace si trova, però, in breve tempo, impantanato in questioni che assumono un’importanza maggiore di quella che in realtà abbiano: Major si ostina sulla questione del disarmo preventivo dell’IRA, senza il quale non avrebbe dato l’avvio ad alcun colloquio. L’IRA – dal canto suo – non accetta alcun tipo di pregiudiziale e nuovamente torna a dividersi. Dalla parte Provisional si stacca la cosiddetta Real IRA, di stampo più oltranzista, che decide, il 9 febbraio 1996, di interrompere il cessate il fuoco. Lo stesso giorno una potente bomba dilania il Canary Wharf Building di Londra.
Quando tutto sembrava ormai perduto, nuove elezioni politiche in Inghilterra portano i laburisti, rappresentati da Tony Blair, alla vittoria. Con Blair al potere nel Regno Unito, la maggioranza laburista può finalmente scrollarsi di dosso le pretese unioniste.
Ma la questione irlandese sembra destinata a non avere mai fine. Nell’estate del 1998 – un’estate che si prevedeva tranquilla – si trasforma, in realtà, in una fase molto cruenta. La Real IRA mette in atto il più grave attentato mai avvenuto dall’inizio del conflitto. I terroristi collocano una potente bomba all’interno di un centro commerciale nella cittadina di Omagh. L’esplosione uccide 28 persone, tra le quali molti bambini spagnoli che si trovavano a passare le vacanze in Irlanda del Nord.
La situazione precipita paurosamente: questa volta alle condanne di tutti si uniscono anche quelle dei repubblicani del Sinn Fein. Paradossalmente è proprio questo attentato a dare maggior vigore al processo di pace. I leader delle due forze antagoniste, Gerry Adams del Sinn Fein e David Trimble dell’Ulster Unionist Party, si incontrano di lì a poco. Otterranno per questo loro sforzo il premio Nobel per la pace.
All’inizio del 2000 i militanti dell’IRA hanno preso seriamente in considerazione il disarmo, che è cominciato sotto la vigilanza di una commissione internazionale indipendente nell’ottobre 2001 per proseguire, poi, nell’aprile dell’anno successivo. L’impegno dell’IRA di porre fine al conflitto è sembrato serio. L’Esercito Repubblicano ha colto tutti di sorpresa quando, il 16 luglio 2002, ha presentato le sue scuse formali ai parenti delle cosiddette "vittime non combattenti" cadute durante gli anni del conflitto. Il resto è storia dei giorni nostri.