La Battaglia delle Termopili

a perenne ricordo della battaglia delle TermopiliLa Battaglia delle Termopili ebbe luogo nel 480 a.C. Vi si fronteggiarono un’ alleanza di città stato greche opposte ai persiani. Il 19 agosto del 480 a.c. vide protagonisti Leonida re di Sparta e generale a guida dell’alleanza greca, Mardonio generale delle armate persiane, Serse re dei re di Persia e Idarne comandante degli Immortali.
"Va’ o passeggero, narra a Sparta che noi qui morimmo in obbedienza alle sue leggi" si legge sul sepolcro a perenne memoria dei fatti svoltiisi tal giorno.

Serse I, re della Persia per anni si era preparato per riprendere la guerra contro la Grecia iniziata da suo padre Dario I. Nel 484 a.C. l’esercito e le navi di Serse arrivarono in Asia Minore, costruirono un ponte di barche sull’ Ellesponto presso Abydos attraversandolo. Secondo Erodoto l’esercito di Serse era formato da più di cinque milioni di uomini seguiti da 1.200 navi, l’esercito più grande che il mondo avesse visto fino a quel momento, mentre il poeta Simonide lo stimava in circa tre milioni. Erodoto scrive anche che l’esercito bevve fiumi interi prosciugandoli e mangiò provviste destinate ad intere città.

Queste erano ovviamente esagerazioni, ma è chiaro che i greci erano sovrastati numericamente in misura maggiore rispetto al precedente tentativo di conquista sfociato nella battaglia di Maratona. Le polis greche riuscirono ad accordarsi per affrontare il pericolo e formarono una alleanza guidata da Sparta, comandata dal re Leonida, e si prepararono a bloccare l’avanzata dell’esercito persiano nel nord della Grecia nello stretto passo delle Termopili. Il passo è fiancheggiato da un lato da montagne scoscese dall’altro dal mare ed era quindi adatto alla difesa.

 

All’iniziale distaccamento spartano di Leonida e dalla sua guardia del corpo composta di 300 opliti, 2.800 peloponnesiaci e circa 900 iloti, si aggiunsero i rinforzi provenienti da altre città tra i quali 700 da Tespia, 400 da Tebe, 1.000 focesi e inoltre da Tegea, Mantinea, Orcomeno, Corinto, Fliunte, Micene e dalle altre città dell’Arcadia e della Beozia per un totale di 3900 opliti seguiti dai rispettivi scudieri che fungevano da fanteria leggera. Ai soldati fu detto che loro erano solo l’avanguardia dell’esercito greco che si sarebbe unito a loro al più presto. Le forze greche, per un totale di soli settemila uomini, inizarono la battaglia nell’agosto del 480 a.C., Leonida mirava a tenere il passo il più possibile per dare modo al resto delle città greche di radunare le loro truppe e navi.La battaglia delle termopili
Ad Atene, dopo la clamorosa vittoria sui Persiani, l’uomo più influente divenne Milziade, che era stato il cervello e l’anima della vittoria di Maratona. Era lui che aveva spinto gli Ateniesi ad attaccare invece che chiudersi passivamente in città a difendersi.

Dietro un’altra sua proposta si decise di riprendere pochi mesi dopo l’offensiva e di cominciare con il castigar le Cicladi perché non erano stati fedeli alla causa della libertà e per la loro adesione alla causa persiana. Convinse così ancora una volta gli ateniesi a muovere contro di loro con la flotta che allora non era ancora né efficiente né numerosa. Tuttavia a Paro sotto il comando di Milziade fu iniziato l’assedio della forte capitale dell’isola. Che però si concluse con un nulla di fatto.

L’impresa cioè riusci male, un po’ per la inaspettata forte resistenza di Paro, ma anche e soprattutto per una fortunale che nel corso delle operazioni fece naufragare non solo le navi ma con esse anche la credibilità delle idee guerresche di Milziade. Dagli agnostici pacifisti sempre contrastate.

   Furono appunto i maligni a dire che quella era stata una sua guerra personale, perchè con quelli di Paro Milziade era stimolato da vecchi rancori personali. Al ritorno fu immediatamente sottoposto a processo con l’accusa di aver dilapidato le casse dello stato per compiere la sua inutile e dannosa impresa; ma l’accusa più infamante era quella di avere ingannato il popolo sovrano. La pena richiesta per questo reato era quella di morte. Milziade quando fu condotto in tribunale era quasi morente perchè tornato con una ferita che stava andando in cancrena. Gli amici in tribunale, nel difenderlo, si appellarono ai grandi servizi da lui resi allo stato, rammentarono l’epica impresa e l’eroismo di Milziade a Maratona. Riuscirono insomma a fargli commutare la pena in una multa di cinquanta talenti, che Milziade terminato il processo non riuscì nemmeno a pagare, morì subito dopo.

   L’accusa contro Milziade era stata sostenuta da Santippo, cognato dell’ alcmeonide Megacle, e con quella accusa demagogica, questa famiglia, che negli ultimi anni si era trovata alquanto ridotta nell’ombra, riacquistò una influenza preponderante. E se ne valse per rielaborare in senso ancor più democratico la costituzione di Clistene. Per rendere innocui per sempre i fautori dei tiranni fu introdotto il tribunale dell’«ostracismo»; ogni anno cioè, in primavera, si proponeva all’assemblea popolare la domanda se esistessero nello Stato cittadini pericolosi per la libertà, ed in caso di risposta affermativa in una seconda assemblea ciascuno dei presenti scriveva sopra un pezzo di "ostracon" (=coccio) il nome dell’uomo che gli era politicamente sospetto; chi aveva contro di sé il maggior numero di voti era costretto ad andare in esilio per dieci anni.

   La nuova legge fu immediatamente applicata, ed Ipparco, figlio di Carmo, un parente dei Pisistratidi e capo dei partigiani ch’essi tuttora avevano in Atene, fu il primo a rimanerne colpito (487). Si stabilì inoltre che i nove magistrati supremi dello Stato (gli Arconti), che sinora erano stati eletti dall’assemblea popolare, sarebbero stati d’ora in poi estratti a sorte; ciò naturalmente privò questi magistrati di ogni ulteriore importanza politica e li abbassò alla condizione di meri organi amministrativi, mentre l’influenza decisiva passò al consiglio ed all’assemblea popolare o piuttosto agli uomini politici che acquistavano autorità di dirigenti in seno a quelle due assemblee. La direzione degli affari della guerra si trasferì ora completamente nel collegio degli strateghi, il cui presidente divenne così il più importante funzionario dello Stato.

   Tuttavia gli Alcmeonidi non dovevano godere a lungo del frutto della loro vittoria. Già nel 486 il capo della stirpe, Megacle, fu colpito dall’ostracismo e due anni dopo la stessa sorte toccò a suo cognato Santippo. Può darsi che questi esili stiano in relazione con la guerra con Egina che era scoppiata poco tempo prima (488) e che non arrecò all’inizio se non disfatte, perché la piccola isola era, sul mare, di gran lunga superiore ad Atene. Occorreva pertanto mettere la flotta ateniese in un assetto tale da imporsi e trasformare Atene, che sinora era stata una potenza prevalentemente terrestre, in una grande potenza marinara; un fine questo che era già balenato alla mente di Pisistrato, ma che però la democrazia aveva perduto di vista. A tal proposito si accese un aspro conflitto in seno all’assemblea popolare. Fra i due uomini politici che dopo la caduta degli Alcmeonidi avevano acquistato gran influenza dirigente ad Atene, Temistocle si fece sostenitore dell’opportunità di costituire una flotta, non tanto in considerazione della guerra con Egina, quanto in previsione del pericolo che minacciava dal lato della Persia; egli comprese con l’occhio acuto del genio che ad una nuova invasione persiana non si sarebbe potuto arginarla efficacemente che sul mare.

   A questi disegni fece invece la più accanita opposizione Aristide; egli era molto stimato per la sua integrità personale, rara per un uomo politico greco, ma difettava di quel coraggio intraprendente e risoluto ch’era invece la dote del suo antagonista, e si arretrava di fronte alle conseguenze che lo spostamento verso il mare del centro di gravità delle forze dello Stato non poteva non produrre nei riguardi dello sviluppo interno di Atene.

   La decisione della lotta fu da ultimo rimessa al tribunale dell’ostracismo; esso sentenziò contro Aristide (482). Temistocle da quel momento ebbe sgombra la strada. Dietro sua proposta venne deciso di destinare alla costruzione della flotta i redditi delle miniere argentifere di Laurio sulla punta meridionale dell’Attica, che sinora erano stati ripartiti fra i cittadini; con questi mezzi si dovevano costruire 100 navi da guerra, le quali inoltre dovevano essere navi di linea del nuovo tipo che appunto allora cominciò a soppiantare le antiche navi a cinquanta remi, le così dette triere, che erano spinte da ciascuna parte da un triplice ordine di remi e contenevano un equipaggio di circa 200 uomini. Nello spazio di due anni la costruzione fu portata a termine e con queste navi Atene divenne d’un colpo la prima potenza marittima della Grecia.

   Sparta intanto, che aveva la primazia in Grecia, aveva attraversato una grave crisi. Qui, a datare all’incirca dal 520 sedeva sul trono degli Agiadi il re Cleomene, uomo ambizioso ed energico, che tollerava di mala voglia le limitazioni cui il potere regio era sottoposto per la presenza degli efori. Una grande vittoria da lui riportata su Argo verso il 495 gli conferì l’autorità necessaria all’effettuazionè dei suoi progetti rivoluzionari. Egli cominciò con l’abbattere il suo collega nel regno Damarato, in quanto lo incolpò di essere di origine illegittima e in tal modo provocò la sua deposizione (491). Damarato abbandonò Sparta e si rifugiò alla corte del re di Persia. Sul suo trono lasciato vacante salì Leotichida, appartenente ad una linea laterale della famiglia degli Euripontidi, che fu un docile strumento nelle mani di Cleomene. Ma ben presto Cleomene venne in sospetto degli efori e dovette fuggire da Sparta; si recò in Arcadia, vi radunò un esercito e costrinse con esso gli Spartani a restaurarlo nella dignità reale.

   Si dice che non molto dopo il suo ritorno in patria egli sia divenuto pazzo e che, chiuso sotto sicura custodia, si sia data la morte in prigionia con le proprie mani. Così suonò per lo meno la versione ufficiale; ma è verosimile che gli efori lo abbiano fatto togliere di mezzo, d’accordo con il suo fratellastro Leonida, che ora gli successe sul trono. Anche Leotichida sfuggì a mala pena alla deposizione e l’autorità degli efori rimase saldamente più forte di prima.

   Ma era l’ora in cui cominciò a scatenarsi sulla Grecia la tempesta che si era già addensata in Oriente. La prima era stata quella di Maratona. Ma decisi a rifarsi con una nuova campagna i preparativi persiani iniziati da Dario, erano terminati e lo stesso re Serse mosse nella primavera del 480 da Sardi alla testa del suo potente esercito. Questa volta si trattava di sottomettere l’intera Ellade e l’impresa era proporzionata alla enorme capacità belliche di cui si era dotato: come armi e come numero di uomini. Mai i Greci avevano visto riunite così imponenti truppe; nessuna meraviglia quindi che la fama ne avesse portato il numero alla esagerazione. Si andava dicendo che il re avanzava con tre milioni di soldati: lo stesso storiografo delle guerre persiane, Erodoto, calcola la forza dell’esercito a 1,8-2,0 milioni di uomini, la flotta composta da 1207 galere, e 80.000 cavalli.

   In realtà l’esercito deve essere arrivato appena al numero di 300.000 combattenti tratti da tutti i popoli del vasto impero sino all’Indo e alla Jassarta e perfino alcuni di stirpe greca. Le masse di uomini citate più sopra a sproposito, e perfino le 300.000, non avrebbero potuto essere trasportate in Grecia per mare; e quindi Serse scelse la via di terra; l’Ellesponto fu passato su due ponti di barche, poi l’esercito accompagnato nel cammino dalla flotta, che era composta da marciò lungo la costa meridionale della Tracia verso occidente, ed attraversando la Macedonia giunse al confine della Tessalia. I paesi fin qui attraversati erano già stati soggiogati da Mardonio che precedeva Serse, che non ebbe in nessun luogo alcun sintomo di resistenza.

   Serse in Tracia nel passare in rassegna il grandioso esercito, aveva chiesto a Demarato (un guerriero greco sicuramente obbligato a seguirlo) di dirgli sinceramente, ma proprio sinceramente senza adulazione, come avrebbero reagito i Greci a quell’imponente esercito capace di distruggere l’intero loro paese.

   L’orgoglioso greco, che era uno spartano, gli disse che i greci erano abituati fin dalla nascita alla povertà e a una sobria e dura vita, ma cio nonostante erano stati capaci di conservarsi liberi e indipendenti; e siccome anche lui era stato educato ed era vissuto con pochi mezzi ma in libertà, ed era sommamente felice della sua condizione, era convinto che nessuno come lui avrebbe voluto cambiare condizione; e se qualcuno avesse tentato di usurpargli l’inestimabile privilegio, da soli, e senza vicini, avrebbero combattuto anche contro l’esercito più grande del mondo.

   Serse, guardando il suo sterminato esercito e il mare ricoperto di sue navi, di certo sorrise. Ma è anche certo che non avrebbe mai immaginato cosa lo aspettava alle Termopili.

   In Grecia intanto la disposizione degli animi era assai incerta; il voler lottare contro la strapotenza persiana appariva ad alcuni vano, e lo stesso oracolo delfico consigliò di adattarsi all’ inevitabile. D’altro canto, si diceva, non si trattava affatto di questione d’esistenza; il re persiano non reclamava se non il riconoscimento della sua alta sovranità ed i Greci sotto questa sovranità avrebbero in complesso continuato a vivere come prima e allo stesso modo.

   Questo era l’atteggiamento dei piccoli stati, Atene e Sparta invece non avevano scelta per decidere, poichè l’assoggettamento alla signoria persiana significava per Sparta la rinunzia alla sua posizione di città dominante nel Peloponneso, e per Atene la rinunzia alla libertà democratica ed il ritorno dell’odiosa dinastia dei tiranni. Perciò i due Stati erano risoluti alla lotta ad oltranza, e il contegno delle due potenze predominanti poi determinò nello stesso senso quello degli Stati minori. La sola Argo, l’antica rivale di Sparta, fece anche questa volta parte a sé e si tenne estranea alla guerra nazionale. Gli altri Stati strinsero una lega, in cui toccò naturalmente a Sparta la funzione dirigente; fu proclamata la pace generale all’interno e fra l’altro fu tolta di mezzo la guerra fra Atene ed Egina; ad Atene e probabilmente anche altrove gli esiliati politici furono richiamati per ingrossare l’esercito.

Contro un attacco proveniente dal nord la Grecia possiede tre linee naturali di difesa: la valle di Tempe nel settentrione della Tessalia, il passo delle Termopili tra la Tessalia e il centro della penisola ellenica e finalmente l’istmo di Corinto che congiunge il Peloponneso con la Grecia centrale. Si decise come inizio di far fronte sulla più settentrionale di queste linee ed a tale scopo fu inviato un esercito verso la Tessalia; ma si dovette constatare che le disposizioni d’animo erano molto tiepide e che non si poteva affatto calcolare sulla fedeltà dei Tessali alla lega. Perciò si prese il partito di ripiegare sulle Termopili. Il passo era così angusto che poteva essere difeso da un corpo di truppe relativamente piccolo anche contro forze di molto superiori.

A Sparta si ritenne che a disimpegnare questo compito di tenere il passo finché fosse concentrato tutto l’esercito della lega sarebbero bastati 4000 opliti del Peloponneso, più i contingenti delle regioni del centro della Grecia, la Focide, la Locride e la Beozia che erano le prime ad essere minacciate dall’invasione persiana; 300 coraggiosi spartani furono affidati al comando di re Leonida, formidabile guerriero ultra sessantenne ma dalla mente sveglia e acuta. Dietro l’esempio di Sparta arrivarono i rinforzi dalle altre città greche Tegea, Mantinea, Orcomeno, Corinto, Fliunte, Micene, Tebe, e dalle altre città dell’Arcadia e della Beozia per un totale di 3900 opliti seguiti dai rispettivi scudieri che fungevano da fanteria leggera.

   Contemporaneamente la flotta greca alleata fu concentrata nell’angusto braccio di mare che separa la costa settentrionale dell’Eubea dalla Tessalia per impedire alle navi persiane di entrare nelle acque della Grecia centrale; erano circa 250 navi, metà delle quali -nuovissime- erano state fornita da Atene.

   Serse poté quindi penetrare senza colpo ferire nella Tessalia che gli si sottomise immediatamente e prestò al suo esercito perfino un contingente di truppe. Al contrario la flotta persiana durante la navigazione lungo la costa occidentale tessala irta di rocce e priva di porti, non fu facile, e subì pure a causa di una tempesta gravi perdite.

   Infine presso il promontorio Artemisio avvenne poi l’urto con la flotta greca e nonostante la superiorità numerica dei Persiani la battaglia si trascinò per più giorni indecisa.

   Nel frattempo Serse via terra era arrivato alle Termopili ed aveva iniziato l’attacco delle forti posizioni dei Greci, attacco che naturalmente rimase vano. A ogni assalto, le schiere assalitrici lasciavano i più prodi davanti al trinceramento greco, né la difesa accennava a perdere d’efficacia per lo spazio ristretto del passo che non permetteva lo spiegamento di grande forze. Più che un passo è una stretta gola larga non piu di trenta metri.

   Quando gli esploratori riferirono a Serse il numero dei greci che presidiavano il passo, il re scoppiò a ridere e piuttosto perplesso si chiese cosa stessero aspettando. Serse attese quattro giorni convinto che il solo numero sarebbe bastato a farli fuggire.

   Al quinto giorno Serse spazientito ordinò l’attacco sicuro di annientare i greci. Quando alcuni disertori dell’esercito persiano (alcuni greci arruolati con la forza) avevano dichiarato agli uomini di Leonida che erano così tanti i persiani da oscurare il sole con le loro frecce, gli spartani risposero -bene almeno combatteremo all’ombra.

   E non si sbagliarono di molto, per tutto il giorno combatterono ferocemente nella gola, proprio all’ombra, dove il numero dei Persiani non aveva significato, perché gli uomini di Leonida fecero strage di persiani che con le loro armature leggere e le lance corte non potevano nulla contro il pesante equipaggiamento oplita. Spazientito il giorno successivo Serse schierò in campo le sue truppe d’èlite i diecimila Immortali comandati da Idarne che non ebbero maggior fortuna. I greci combattevano a turno concedendosi un pò di riposo, e dopo i massacri, si accasciavano a terra sudati e sporchi di sangue per poi rialzarsi e tornare a combattere.

   Già Serse disperava di vincere quel pugno di eroi, quando un greco traditore -Efialte- gli offrì di condurre l’esercito per un aspro sentiero di montagna poco conosciuto, al di là delle pendici dell’Oeta, per il quale si poteva giungere alle spalle di Leonida e dei suoi uomini.

La difesa di quest’altro sbocco era affidata a mille ausiliari focesi, ma questi sorpresi dai nemici, sotto una grandine di frecce, fuggirono senza nemmeno tentare la resistenza. In tal modo la difesa del passo diventò impossibile.

Leonida con gli altri ausiliari, non volle sacrificare inutilmente un esercito di cui la Grecia aveva bisogno; licenziò gli alleati e, con i suoi trecento uomini e alcuni di Tespia che vollero condividere la gloria dell’eroismo, si trincerò sul posto. Pur vedendo la situazione disperata Leonida era troppo orgoglioso per sopravvivere alla sconfitta e preferì morire da eroe alla testa dei suoi Spartani.

   Del resto le leggi di Sparta non contempavano la ritirata. Perfino le madri e le mogli non guardavano più in faccia i figli o i mariti se questi avevano indietreggiato davanti al nemico. Perfino quando veniva consegnato il cadavere del loro congiunto, per prima cosa si accertavano se le ferite erano dietro il corpo o davanti; e nel primo caso si allontanavano dal cadavere sdegnate.

   Questa accanita difesa più che una battaglia diventò subito uno sterminio. Una grandine di sassi e di frecce si abbattè su di loro; con già a terra una montagna di cadaveri, Leonida persa la sua lunga lancia, stava combattendo con la spada in mano. Convinti che non aveva più scampo i persiani chiesero di consegnare le armi, Leonida sprezzante gridò loro -venite a prenderle!-. Poi esponendosi un po’ troppo, già più volte ferito, crivellato da una gragnuola di colpi, cadde morto. A stento i suoi uomini cercarono di trascinare il suo cadavere dietro quell’anfratto che chiude l’entrata delle Termopili; ad un certo punto quel corpo esamine sembrava il più ambito e glorioso "trofeo", conteso -per opposti motivi- da persiani e greci, ma furono questi ultimi, non uno escluso a cadere massacrati sopra quel cadavere che volevano difendere. I persiani da una posizione dominante, prendendoli di mira scagliavano da lontano frecce e sassi, non osando avvicinarsi per lo sbigottimento prodotto da tanto valore. Attesero che cadesse l’ultimo uomo.
A Serse quell’entrata nelle Termopili gli costò la perdita di 20.000 uomini, e fra essi due figli di Dario. Infuriato, s’impossessò del "trofeo", e fece mettere in croce il cadavere di Leonida.

Solo più tardi, dopo la vittoria a Salamina, i greci raccolsero pietosamente le sue membra scarnificate e sul posto eressero il suo sepolcro. Che oggi è ancora lì, giganteggia sulla litoranea che porta ad Atene; da circa 2500 anni è un luogo di raccogliemento e di venerazione per tutti i greci.

mappa della seconda guerra persiana

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