Era volgare e squallida la stanza,
nascosta sull'equivoca taverna.
Dalla finestra si scorgeva il vicolo,
angusto e lercio. Di là sotto
voci salivano, frastuono d'operai
che giocavano a carte: erano allegri.
E là, sul vile, miserabile giaciglio,
ebbi il corpo d'amore, ebbi la bocca
voluttuosa, la rosata bocca
di tale ebbrezza, ch'io mi sento ancora,
mentre che scrivo (dopo sì gran tempo!
nella casa solinga inebriare.
Constantinos Kavafis (1863-1933)